La Gazzetta del Mezzogiorno, martedì 6 agosto
2013
Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it
Col passare dei decenni si fa sempre più pallido e formale
il ricordo dell’esplosione, proprio il 6 agosto del 1945, sessantotto anni fa,
della prima bomba atomica americana sulla città giapponese di Hiroshima,
seguita, tre giorni dopo, da quella di una simile bomba atomica sull’altra
città giapponese di Nagasaki: con duecentomila morti finiva la seconda guerra
mondiale (1939-1945), e cominciava una nuova era, quella atomica, di terrore e
di sospetti, eventi che hanno cambiato il mondo e che occorre non dimenticare.
L’”atomica” era il risultato dell’applicazione militare di
una rivoluzionaria scoperta scientifica sperimentale: i nuclei dell’uranio e di
alcuni altri atomi, urtati dai neutroni, particelle nucleari prive di carica
elettrica, subiscono “fissione”, si frantumano in altri nuclei più piccoli con
liberazione di altri neutroni che assicurano la continuazione, a catena, della
fissione di altri nuclei. In ciascuna fissione, come aveva previsto teoricamente
Albert Einstein (1879-1955) nel 1905, si liberano grandissime quantità di
energia sotto forma di calore. Energia che avrebbe potuto muovere turbine
elettriche, navi e fabbriche, ma che avrebbe potuto essere impiegata a fini
bellici.
La fissione anche solo di alcuni chili dello speciale
isotopo 235 dell’uranio, o dell’elemento artificiale plutonio, libera energia
con un effetto distruttivo confrontabile con quello di alcuni milioni di chili
di tritolo, uno dei più potenti esplosivi disponibili. I danni sono ancora più
grandi perché molti frammenti della fissione dell’uranio o del plutonio sono
radioattivi per decenni o secoli. Dal 1945 Stati Uniti, Unione Sovietica
(l’attuale Russia), Francia, Regno Unito, Cina, India, Pakistan, Israele, hanno
costruito bombe atomiche sempre più potenti a fissione, o bombe a idrogeno,
termonucleari, nelle quali la liberazione del calore si ha dalla fusione, ad
altissima temperatura e pressione, degli isotopi dell’idrogeno, il deuterio e
il trizio.
Circa duemila esplosioni sperimentali di bombe nucleari nei
deserti, negli oceani, nel sottosuolo, hanno mostrato che cosa una moderna
bomba atomica potrebbe fare, se sganciata su una città. Ciascuna potenza
nucleare si è dotata di bombe nucleari per avvertire qualsiasi potenziale
nemico che, se usasse una bomba atomica, verrebbe a sua volta immediatamente
distrutto: la chiamano deterrenza e questa teoria finora ha fatto vivere il
mondo con un continuo stato di tensione. L’esistenza delle bombe nucleari ha
sollevato proteste finora inascoltate; anzi si può dire che la contestazione
ecologica sia cominciata proprio con la protesta contro tali armi.
Con la graduale distensione internazionale, a poco a poco le
potenze nucleari hanno cominciato a smantellare una parte delle bombe esistenti.
Nel 1986, l’anno della massima tensione, nel mondo esistevano 65.000 bombe
atomiche e termonucleari; oggi tale numero è diminuito a circa 17.000 bombe,
delle quali alcune migliaia sono montate su missili pronti a partire entro un
quarto d’ora dall’ordine. La potenza distruttiva delle bombe nucleari ancora
esistenti nel mondo equivale a quella di duemila milioni di tonnellate di
tritolo, settecento volte la potenza distruttiva di tutte le bombe impiegate
durante la seconda guerra mondiale.
Basterebbe l’esplosione, anche accidentale, di una nelle
bombe nucleari esistenti, un atto di terrorismo con esplosivi nucleari, per
devastare vasti territori, per uccidere migliaia di persone, per contaminare
l’ambiente naturale, le acque, gli esseri viventi con sostanze che restano
radioattive per secoli. Un famoso libro di Nevil Shute, "L'ultima
spiaggia", del 1956 (da cui fu
tratto un drammatico film), descriveva la scomparsa della vita dalla
Terra in seguito ad uno scambio di bombe nucleari iniziato per errore; il film
finiva con il tardivo avvertimento: “Fratelli, siamo ancora in tempo”.
Purtroppo, fino a quando alcune potenze possiedono bombe
nucleari, sarà difficile convincere altre (oggi Iran e Corea del Nord, domani
chi sa ?) a rinunciare alla costruzione di un loro arsenale nucleare,
nell’illusione di scoraggiare l’aggressione da parte di “qualcun altro”.
L’unica soluzione consiste nel disarmo nucleare totale, peraltro imposto
dall’articolo VI del Trattato di non proliferazione nucleare, firmato da quasi
tutti i paesi, ma che nessuno finora si è sognato di rispettare.
Eppure sarebbe anche questione di soldi; le enormi somme,
oltre mille miliardi di euro all’anno, che oggi le potenze nucleari spendono
per tenere in efficienza, per aggiornare e perfezionare i propri arsenali,
anche detratti i costi per lo smantellamento e la messa in sicurezza delle
bombe nucleari esistenti e dei relativi “esplosivi”, sarebbero sufficienti per
assicurare scuole e ospedali, opere di irrigazione e cibo a chi ne è privo, per
estirpare cioè le radici della violenza che è la vera causa delle tensioni
politiche e militari internazionali.
Fratelli, non crediate che siano utopie: davvero “siamo
ancora in tempo” a fermare il pericolo di un olocausto nucleare molte volte più
grande di quello di Hiroshima e Nagasaki, a condizione di chiedere ai
governanti di ciascuno e di tutti i paesi della Terra di inserire il disarmo
nucleare totale fra le loro priorità di azione politica. Nel nome dei soldi
risparmiati, se non gli importa niente della sopravvivenza degli abitanti del
pianeta e del suo ambiente naturale.
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