La Gazzetta del Mezzogiorno, martedì 27 agosto
2013
Giorgio Nebbia
nebbia@quipo.it
Forse le attuali crisi, economica e ambientale, possono
essere entrambe curate da una rinascita della cultura e degli studi sul futuro.
Ogni società, ogni persona pensa al futuro: le aziende si interrogano su quali
merci o servizi è opportuno produrre per soddisfare futuri reali bisogni umani;
i governi e le singole persone si chiedono quali effetti ambientali il
comportamento proprio o collettivo avranno sulle acque e sull’aria del futuro.
Le radici di una scienza del futuro vanno cercate nei moltissimi scritti del
giornalista H.G.Wells (1866-1946), tutti ispirati, nella prima metà del
Novecento, alle conseguenze delle scoperte scientifiche che venivano a sua
conoscenza.
La crisi economica degli anni trenta spinse i governi a
interrogarsi sul futuro e a predisporre, nei paesi capitalistici e nell’Unione
Sovietica, dei ”piani” per orientare le produzioni agricole e industriali in
modo da uscire dalla povertà; furono anni segnati da continue innovazioni
tecnico scientifiche che ebbero una accelerazione durante la II guerra mondiale
(1939-1945): incredibili progressi nei veicoli terrestri e aerei, nei
calcolatori, nella chimica, si pensi alla scoperta della penicillina, dei
sulfamidici e del DDT, fino alla scoperta della possibilità di estrarre grandissime
quantità di energia dal nucleo atomico per nuove devastanti armi o per azionare
navi e macchine.
Queste scoperte costrinsero i governi e gli studiosi a
interrogarsi sulle conseguenze che tali scoperte avrebbero avuto. Il governo
degli Stati Uniti commissionò uno studio sui futuri fabbisogni di energia
dell’America e come le varie fonti di energia avrebbero potuto soddisfarli. Già
nei primi anni cinquanta negli Stati Uniti apparvero le prime previsioni
sull’aumento della popolazione, sull’approvvigionamento dei minerali, dei
prodotti agricoli, dei metalli; furono messi a punto dei nuovi metodi
“scientifici” per tali previsioni; nacque, insomma, una “scienza del futuro”.
Le previsioni riguardavano gli aspetti tecnico-scientifici
ed ecologici ma anche quelli sociali; a Parigi il filosofo Bertrand de Jouvenel
(1903-1987) fondò una associazione col nome “Futuribles”, per lo studio dei
futuri possibili; l’imprenditore italiano Franco Ferraro (1908-1974) creò una
simile associazione “Futuribili” in Italia; a Roma nacque un centro di
previsioni diretto dalla sociologa Eleonora Masini. Nel corso degli anni
sessanta del Novecento furono pubblicati almeno tre libri col titolo “2000”,
scritti dagli americani Herman Kahn (1922-1983), Daniel Bell (1919-2011), dall’austriaco
Robert Jungk (1913-1994) e dal norvegese Johan Galtung; una multinazionale di
studiosi.
Ben presto fu possibile riconoscere varie “scuole”, quella
degli ottimisti (la tecnologia ci salverà, supererà la scarsità di risorse
naturali e gli inquinamenti), e i pessimisti (la crescita della popolazione,
dei consumi e degli inquinamenti possono compromettere le condizioni di vita
future). Questa seconda posizione fu espressa nel più celebre dei libri sul
futuro, “I limiti alla crescita”, pubblicato nel 1972 dal Club di Roma, un
circolo di intellettuali fondato dall’italiano Aurelio Peccei (1908-1984).
Il culmine dell’interesse e del dibattito della scienza del
futuro si ebbe nel 1973 con la conferenza internazionale della Federazione
Mondiale di Studi sul Futuro (WFSF), presieduta da Eleonora Masini, a Frascati
(i vari volumi di atti sono purtroppo introvabili). Si avvicinavano i tuoni di
una nuova crisi: l’aumento del prezzo del petrolio, i pericoli di guerra
atomica, le esplosioni di bombe nucleari nell’atmosfera, la fragilità delle
strutture industriali, orientate al profitto a breve termine, appariva con una
serie di incidenti, da quello giapponese di Minamata, a quelli italiani di
Seveso e Manfredonia, a quello americano di Times Beach, alla catastrofe
nucleare di Harrisburg, eccetera. I ruggenti anni ottanta e novanta del
Novecento, con l’illusione di una nuova ondata di consumi e di merci e di
apparente felicità, hanno spazzato via la scienza del futuro, come anche la
originale genuina carica “rivoluzionaria” dell’ecologia.
Di futuro, naturalmente, si è parlato, anzi sempre di più e
fin troppo, con conferenze, riviste, talvolta come fantascienza, futurologia,
addirittura come magia, ma per lo più per cercare una soluzione a problemi
immediati; le previsioni sono state fatte a breve termine sotto la spinta di
invenzioni e modificazioni così veloci da non lasciare il tempo per
comprenderle: la nascita di nuovi giganti industriali, le rivolte nei paesi
emergenti, la crescente fragilità dei territori dovute all’inquinamento. I
paesi industriali sono incapaci di fare credibili previsioni dei fabbisogni
energetici, di prendere decisioni per arginare i prevedibili, questi si,
effetti futuri ambientali degli inquinamenti e delle scelte merceologiche.
Sembra che le imprese non sappiano fare scelte produttive che riducano la
disoccupazione e sembra che i soldi siano l’unico indicatore a cui riferire le
spesso miopi previsioni dei governi.
Ne viene un senso di scoramento, soprattutto nelle
generazioni più giovani che sembrano avere perso la speranza. Su, studiosi,
ingegneri e sociologi, chimici e filosofi, provate a ricominciare a
interrogarvi sul futuro. Su; governanti, provate a immaginare come vorreste il
vostro paese e i vostri cittadini e a fare politica a questo fine.
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