giovedì 16 aprile 2009

Io spero -- GZ 2-1-2009

La Gazzetta del Mezzogiorno, venerdì 2 gennaio 2009

Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it

Di un’altra cosa c’è da aver paura: della perdita di democrazia. Di recente l’arcivescovo di Canterbury, davanti alla politica economica del governo inglese, ha ricordato che una simile politica aprì, in Germania, nel 1933, la porta al nazionalsocialismo di Hitler e alle sue aberranti teorie e violenze. Anche oggi se continua la violenza e l’incitamento allo spreco e all’idolatria dell’egoismo, ci giochiamo la democrazia e si finisce per invocare una dittatura che, forse, assicura la ricchezza economica, almeno per alcuni, ma priva della ricchezza più grande che é la libertà.

Benedetto Croce nel 1925, tre anni dopo l’avvento del fascismo, l’anno dopo l’assassinio di Matteotti, invitava a “fare delle difficoltà sgabello”. “Clima, ubertosità o avarizia di terreno, salubrità o insalubrità, posizione geografica, spostamenti di commerci possono diventare, secondo i casi, forza o debolezza; la povertà ingenerare vigore e ardimento o per contrario sfiducia e abbattimento; la ricchezza corruttela o migliore sanità”. Una ricetta per uscire dalla attuale crisi di soldi e commerci, ma soprattutto di “sfiducia e abbattimento e corruttela”. Infatti le stesse condizioni geografiche, ambientali, di commerci possono diventare sgabello per generare vigore e ardimento e migliore sanità e condizioni di vita.

Ciò è avvenuto dopo la crisi finanziaria del 1929, durante la ricostruzione dopo la seconda guerra mondiale, dopo la crisi delle materie prime del 1973. Lo sgabello deve essere offerto da governanti onesti e coraggiosi.

Franklin Delano Roosevelt (1882-1945), fu eletto nel 1933 a governare una America sotto tanti aspetti simile all’Europa e all’Italia attuali, e fece uscire dalla “grande crisi” il suo paese, afflitto da frodi finanziarie e nei commerci, disoccupazione nelle grandi industrie, abbandono dei campi, terre erose dalla siccità e allagate dai fiumi in piena, sfruttamento della mano d’opera disperata.

Roosevelt si circondò di ministri competenti e onesti, ed ebbe il sostegno degli intellettuali, e di Hollywood che seppe usare la celluloide per spiegare, meglio di tanti comizi, le strade per la rinascita. Lo stato investì soldi, tanti soldi, per rimettere in moto l’economia e l’occupazione col preciso obiettivo di togliere i lavoratori dalle mani del caporalato e dello sfruttamento (la storia è raccontata nel film “Furore”); avviò dei piani di edilizia popolare per assicurare una casa a chi non l’aveva, o l’aveva perduta perché non poteva pagare i mutui contratti con le grandi banche (la storia è narrata nel film “La vita è meravigliosa”).

Un altro film (“Gli intoccabili”) racconta come pochi funzionari incorruttibili colpirono il commercio clandestino di alcolici e riuscirono a far finire in carcere, per evasione fiscale, il potente gangster Al Capone.

Appena eletto Roosevelt creò una agenzia, la NRA (National Recovery Administration), che assicurava un marchio di garanzia, l’aquila azzurra (la “Bleu Eagle”), a coloro che erano disposti a “fare la propria parte”, impegnandosi ad occupare dipendenti compensati con un minimo salariale sicuro, e praticando prezzi contenuti; una iniziativa che attraeva gli acquirenti, specie delle classi meno abbienti. Chi guarda con attenzione molti film ambientati negli anni della crisi vedrà che i registi insistono nel mostrare negozi con tale insegna, a riprova di quanto la politica economica e merceologica di Roosevelt sia ancora presente nella cultura americana.

Roosevelt arruolò in un servizio civile (i Civilian Conservation Corps) centinaia di migliaia di giovani disoccupati e li impegnò in opere di difesa del suolo, di costruzione delle dighe, di pulizia dei fiumi, di valorizzazione delle risorse naturali. Il governo potenziò il servizio repressione frodi e le stazioni sperimentali di agricoltura dopo che un celebre libro, “Cento milioni di porcellini d’India” (gli animali su cui vengono sperimentati i veleni) aveva descritto le frodi alimentari che toccavano i portafogli dei cittadini e ne compromettevano la salute.

Io spero. Spero che il 2009 aiuti gli italiani a approfittare delle difficoltà salendo sullo sgabello di una rinascita etica e culturale. Vorrei che si moltiplicassero i libri e i film che denunciano la corruzione, le frodi alimentari, le evasioni fiscali, gli abusi edilizi, gli inquinamenti, lo sfruttamento dei lavoratori, le violazioni delle norme di sicurezza nelle fabbriche, nei cantieri, nei campi. Io spero che ci siano negozi e imprese che espongono cartelli in cui sia scritto: “Io pago tutte le tasse”; “Mi rifiuto di avere dipendenti in nero”.

Io spero che i consumatori e gli acquirenti scelgano le merci e i servizi prodotte e vendute da chi rifiuta l’illegalità, anche se costano un po’ di più di quelli illegali; spero che i finanziamenti con pubblico denaro siano destinati a coloro che garantiscono condizioni di lavoro ”in regola” per i loro dipendenti, anche se (anzi a maggior ragione se) immigrati.

Io spero che le opere pubbliche, le tanto decantate “infrastrutture”, siano rivolte alla difesa del suolo, all’aumento delle risorse idriche, al rimboschimento e alla difesa del suolo, alle fonti energetiche rinnovabili; al miglioramento dei treni che trasportano i milioni di pendolari che oggi sono condannati all’uso dell’automobile privata, inquinando e congestionando le città. Io spero che un giorno nelle bacheche delle nostre Università appaiano, accanto all’elenco degli esaminandi, anche gli elenchi dei raccomandati con nome e cognome di chi li ha “segnalati”.

So che i lettori “sensati” diranno che si tratta di utopie, ma penso anche che l’alternativa sia la continuazione, anzi l’aggravarsi, della crisi economica, e soprattutto la continuazione della paura: paura della violenza della criminalità, della violenza nelle strade e negli affari, paura della immigrazione. Una paura che non si sconfigge con il melenso ottimismo e con l’invito ad abbeverarsi alla fonte dei consumi, del lusso e degli sprechi. “L’unica cosa di cui aver paura è la paura stessa”, disse allora Roosevelt quando nel 1933 giurò fedeltà alla costituzione e al popolo degli Stati Uniti, e le stesse parola ha ripetuto il nostro Presidente della Repubblica nel suo messaggio di fine anno 2008.

Un nuovo "New Deal" GZ 25-11-2008

La Gazzetta del Mezzogiorno, martedì 25 novembre 2008

Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it

Di qua e di là dall’Oceano rimbalzano parole magiche: recessione, ambiente, New Deal. Il New Deal è stato il patto, la promessa di un nuovo corso, che Franklin Delano Roosevelt, divenuto presidente degli Stati Uniti nel marzo 1933, promise ai cittadini americani per uscire dalla crisi che era, come l’attuale, crisi di soldi, ma soprattutto di fiducia, di scoramento, di corruzione e violenza criminale, e poi di erosione del suolo e di eccedenze agricole invendute. Roosevelt capì che la salvezza dell'America dipendeva anche dalla regolazione del corso dei fiumi e dalla lotta all'erosione, alle frane e alle alluvioni, alla sete, dalla ricostruzione della fertilità dei suoli agricoli e dei pascoli, dalla salvaguardia delle foreste.

La nuova amministrazione affrontò subito il problema della razionale utilizzazione delle risorse idriche e della difesa del suolo, cominciando dai grandi bacini idrografici. Uno dei più grandi fiumi e bacini idrografici del Nord America è il Tennessee che scorre dalle montagne innevate ai campi fertili, fino a immettersi nel fiume Ohio poco prima che questo si getti nel Mississippi. Subito dopo il suo insediamento alla Casa Bianca Roosevelt creò una speciale agenzia, la Tennessee Valley Authority, il più noto esempio di pianificazione territoriale e industriale del New Deal, col compito di costruire una serie di dighe e di centrali idroelettriche, realizzando la prima industria elettrica di proprietà del governo federale (le precedenti erano tutte private). La costruzione delle dighe attirò nella zona lavoratori disoccupati da tutta l'America; fu rettificato il corso del fiume, furono fatte opere per fermare l'erosione del suolo e per il rimboschimento delle valli. Il film “Fango sulle stelle” di Elia Kazan, racconta l’epopea della costruzione di una diga sul Tennessee e il conflitto con la popolazione locale che deve abbandonare le proprie case

Roosevelt aveva sottolineato, fin dalla campagna elettorale, l'importanza delle foreste. “Gli alberi --- disse --- trattengono la terra fertile sui declivi e l'umidità del suolo, regolano il fluire delle acque nei ruscelli, moderano i grandi freddi e i grandi caldi, purificano l’aria, sono i ‘polmoni’ dell'America”. Il 14 marzo 1933, dieci giorni dopo la sua nomina a presidente degli Stati Uniti, Roosevelt predispose un grande progetto per impiegare un esercito di giovani disoccupati al lavoro nelle foreste. Nell'estate del 1933 300.000 americani, celibi, dai 18 ai 25 anni, figli di famiglie assistite, erano nei boschi, impegnati nei lavori di difesa del suolo che da molti anni erano stati trascurati. Negli anni successivi, in varie campagne, due milioni di giovani lavoratori, complessivamente, piantarono 200 milioni di alberi, ripulirono il greto dei torrenti, prepararono laghetti artificiali per la pesca, costruirono dighe, scavarono canali per l'irrigazione, costruirono ponti e torri antincendio, combatterono le malattie dei pini e degli olmi, ripulirono spiagge e terreni per campeggi. Nell'aprile 1935 fu creato il Soil Conservation Service col compito di difendere contro l’erosione il suolo, anche se era di proprietà privata, a spese dello stato.

Nel 1933 il governo decise di far pagare un affitto a coloro che usavano risorse naturali --- pascoli o miniere --- demaniali e di fermare la svendita dei terreni statali. Nell'America della grande crisi c'era sovrabbondanza di raccolti ma prezzi così bassi che gli agricoltori soffrivano la fame. L'erosione del suolo dovuta alle acque e al vento aveva spinto milioni di piccoli proprietari o affittuari ad abbandonare le proprie terre per andare a lavorare come miserabili salariati nelle terre ancora fertili. Le grandi compagnie finanziarie compravano a prezzi stracciati i terreni dei piccoli coltivatori soffocati dai debiti. La drammatica situazione è descritta, fra l'altro, nel libro "Furore" di Steinbeck, del 1939, da cui l'anno dopo fu tratto un celebre film diretto da John Ford.

Furono create strutture governative per assistere i lavoratori costretti a migrare nelle nuove terre e furono stanziati incentivi finanziari per trattenere nei campi i piccoli coltivatori e per sostenere i prezzi dei prodotti agricoli; fu organizzata la distribuzione alle classi meno abbienti delle eccedenze agricole e furono avviate iniziative per l’utilizzazione industriale dei prodotti non alimentari. La chimica avrebbe avuto un ruolo fondamentale e il biochimico William Hale coniò il termine "chemiurgia" per indicare le tecniche capaci di trasformare le materie di origine agricola, zootecnica e forestale in merci: dall'alcol etilico, da usare come carburante e come materia prima per la gomma sintetica, alla cellulosa e alle proteine per ottenere fibre artificiali, dall'amido alle materie plastiche, dalle cere ricavate dalla jojoba, alla gomma guayule, dalle fibre tessili cellulosiche naturali ottenute da ginestra, canapa, yucca, a nuove materie cellulosiche industriali, eccetera

Sotto tanti aspetti i problemi dell’età di Roosevelt si trovano in Italia oggi: frane e alluvioni, mancanza di acqua, eccedenze agricole, rifiuti, alto costo dell’energia, ma nelle varie proposte del “nuovo New Deal” non vedo indicati progetti per affrontarli seriamente e in modo unitario; eppure la soluzione va cercata, a mio parere, proprio nel recupero e trasformazione di eccedenze, scarti e sottoprodotti a fini produttivi e energetici, nel rimboschimento, nella lotta all’erosione e alle conseguenti frane e alluvioni, nell’aumento delle risorse idriche e idroelettriche, nelle fonti di energia e nelle materie prime rinnovabili.

Il successo “ambientale” del New Deal fu dovuto al fatto che Roosevelt concentrò tutte le competenze nel campo delle risorse naturali --- acqua, foreste, difesa del suolo, opere idrauliche, urbanistica, parchi, miniere, rifiuti, eccetera --- in due ministeri, quello dell'agricoltura e quello dell'interno, affidati a due persone, Henry Wallace e Harold Ickes, eccezionali per la devozione al loro mandato, onestà e competenze. Che siano queste tre le parole chiave per uscire dalla crisi del 2008 ?

Sulla protesta GZ 14-4-2009

Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it

Si racconta che in tempi antichi il principe incoraggiasse, o addirittura pagasse, l’opposizione perché sapeva, lui che era un principe saggio, che era opportuno che ci fosse qualcuno che lo avvertisse quando compiva degli errori. A questo pensavano coloro, ed io fra questi, che sostennero l’opportunità della presenza, nell’ambito del Ministero dell’ambiente istituito dal primo governo Craxi, di una sede in cui potessero far sentire la loro voce le associazioni ambientaliste, che da molti anni esercitavano una attiva e critica contestazione delle azioni che compromettevano l’ambiente, la natura e la salute.

Nella legge 349 del luglio 1986, che istituiva tale nuovo Ministero, fu inserito un articolo 13 che stabiliva che le associazioni ambientaliste qualificate per la loro attività e per la presenza nel territorio, facessero parte del consiglio nazionale dell’ambiente. All’articolo 18 di tale legge era stabilito che le associazioni riconosciute potevano intervenire nelle denuncie dei fatti lesivi dell’ambiente e potevano fermarli anche ricorrendo ai tribunali amministrativi regionali (TAR).

Per comprendere l’importanza di questa pur parziale conquista va ricordato che era stata la contestazione ecologica a denunciare, dagli anni sessanta del Novecento in avanti, gli inquinamenti dell’aria, delle acque e del mare, le fabbriche inquinanti, l’abuso dei pesticidi e dei detersivi non biodegradabili, a fermare opere giustamente ritenute e rivelatesi nocive, come centrali elettriche, raffinerie di petrolio, centrali nucleari, stabilimenti petrolchimici, fabbriche di bioproteine, depositi di scorie radioattive, eccetera.

Questa protesta aveva così salvato centinaia di migliaia di vite umane che altrimenti sarebbero state compromesse da agenti tossici, radioattivi, cancerogeni. Protesta sgradevolissima per molti imprenditori, per amministratori pubblici e per lo stesso governo che hanno spesso ridicolizzato e cercato di mettere a tacere questi “disturbatori”. Col passare degli anni la contestazione si è affievolita e sono avanzate energicamente le politiche ispirate a togliere vincoli alle imprese, agli inquinatori e speculatori; così la legge 186 è stata, a varie riprese, svuotata di molti contenuti nel 2001 e, soprattutto, col cosiddetto testo unico sull’ambiente del 2006.

Poco dopo un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (alla fine del mandato del II governo Prodi) datato 8 aprile 2008 stabiliva che potevano essere coperti dal segreto di stato gli impianti civili per produzione di energia ed altre infrastrutture “critiche” e che nei luoghi coperti da segreto di stato le funzioni di controllo ordinariamente svolte dalle aziende sanitarie locali e dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco sarebbero state svolte da autonomi uffici. Il che significa che, per decisione del Presidente del Consiglio, un inceneritore avrebbe potuto essere considerato infrastruttura “critica” e quindi coperto dal segreto di stato e che i controlli sulle esecuzioni e sulle emissioni di fumi inquinanti avrebbero potuto essere demandati alle forze armate e i risultati resi inaccessibili alle popolazioni interessate.

Più recentemente, nel gennaio 2009, la legge 28 gennaio 2009 n. 2 all’articolo 2 prevede che per le opere pubbliche ritenute prioritarie per lo sviluppo economico del territorio possono essere nominati commissari straordinari con poteri sostitutivi delle amministrazioni interessate.

Ma neanche questo bastava per mettere a tacere l’opposizione ecologica che anzi si è fatta più vivace nella protesta contro un numero crescente di nuove iniziative, dalle discariche di rifiuti, agli inceneritori, sia pure ribattezzati eufemisticamente termovalorizzatori, a nuove fabbriche inquinanti. La protesta nel nome della salute e dell’ambiente ha utilizzato allora l’ultima possibilità rimasta dalla legge originale, il ricorso ai TAR che talvolta hanno ritenuto fondate le denunce delle associazioni e dei movimenti di difesa dell’ambiente.

Per mettere ulteriormente il bavaglio all’opposizione il 10 marzo 2009 un gruppo di 134 deputati ha depositato alla Camera un disegno di legge che toglie anche questo diritto di protesta. Secondo i proponenti molte associazioni ricorrono ai TAR per far sospendere opere pubbliche e private, ritenute dannose per l’ambiente e la salute, con motivazioni “pretestuose”o per ”egoismo territoriale”, per non volere vicino casa propria una centrale o un inceneritore che potrebbe danneggiare piccoli interessi locali, egoistici, appunto. Se la protesta è ritenuta non motivata l’associazione è punita ai sensi del codice civile con le sanzioni previste per chi agisce con malafede o colpa grave. Se è ritenuta motivata le opere vanno avanti lo stesso e l’associazione sarà indennizzata. Quale giudice stabilirà se la protesta contro un inceneritore che potrebbe causare danni alla salute fra anni, è pretestuosa e fatta in malafede ? Erano pretestuose le proteste contro la cava di amianto che avrebbe causato centinaia di tumori ai lavoratori e alle popolazioni vicine, ma solo dieci o venti anni dopo ?

Con il nuovo disegno di legge nessuno potrebbe fermare la costruzione di una strada in zona franosa o che altera la circolazione delle acque, la costruzione di edifici destinati a crollare al primo terremoto. Un Parlamento e un governo che avessero a cuore l’interesse del paese, il “bonum publicum”, dovrebbero incoraggiare e ascoltare la protesta di chi, talvolta proprio perché vive in un territorio e ne conosce caratteri e vincoli, chiede di “non fare” opere o interventi che possono danneggiare l’ambiente e la salute. E’ certo che occorre costruire strade e fabbriche e merci, perché questo risolve problemi umani, aiuta a unire paesi lontani, a rendere migliore la vita e talvolta l’ambiente e la salute, ma occorre vigilare perché molte opere e interventi nascondono delle trappole da cui è poi difficile uscire.

A mio modesto parere la contestazione ecologica è come il gallo sul tetto: vede le prime luci dell’alba del giorno che sorge --- il sorgere di nuove attenzioni e nuovi diritti civili --- e canta e sveglia chi dorme nella casa e che è disturbato perché vorrebbe continuare a dormire. Quanto più si cerca di soffocare la protesta, tanto più vivace si fa questa protesta che alla fine vince quando è in gioco il diritto alla vita e alla salute.

La giornata della Terra

Il nemico siamo noi

Il 22 aprile 1970 fu dichiarato "giornata della Terra" in molti paesi del mondo e anche in Italia.

Fu un evento importante, i movimenti ambientalisti in Italia erano appena nati --- Italia Nostra esisteva dal 1955, il WWF era stato fondato due anni prima, la Legambiente sarebbe nata dieci anni dopo --- ma era vivace la protesta contro i fumi delle fabbriche inquinanti, la congestione del traffico e l'avvelenamento dell'aria nelle città, le colline di rifiuti puzzolenti, l'erosione delle spiagge e delle colline. Amintore Fanfani, che allora era presidente del Senato, creò una commissione "speciale" invitando alcuni studiosi ad informare i senatori sui "problemi dell'ecologia".

Erano anni di lotte operaie e studentesche, era appena iniziata la dolorosa stagione degli attentati terroristici, ma la domanda di un ambiente pulito sembrava dare una luce di speranza per la costruzione di un mondo meno violento. Dell'ecologia, come si diceva allora, si cominciò a parlare nelle scuole, nelle università, nei partiti, nelle chiese.

In quella lontana "giornata della Terra" di oltre trent'anni fa sui muri delle città americane apparve un manifesto in cui era riprodotta la vignetta di un fumetto, allora celebre, Pogo, un opossum umanizzato che, come molti personaggi dei fumetti, ironizzava sul comportamento, nel bene e nel male, degli umani. Pogo guardava un diligente ecologista che gettava per terra un foglio di carta straccia, e Pogo si chinava a raccoglierlo mormorando sconsolato: "Ho scoperto il nemico e il nemico siamo noi".

Anche oggi quante volte si vedono delle degnissime persone, eminenti nella loro professione, che si dichiarano fedeli amici dell'ecologia, ma poi nella vita quotidiana si comportano in maniera esattamente contraria a quanto dicono di essere.

Ciò avviene perché i comportamenti ecologicamente corretti sono scomodi e sgradevoli, tanto che devono essere regolati con leggi che puniscono (dovrebbero punire) le violazioni. Prendiamo il caso dei rifiuti che è al centro di un vivace dibattito in tutta Italia. Ogni persona produce in un anno mezza tonnellata, cinquecento chili di rifiuti solidi domestici: verdura, carta straccia, imballaggi, plastica, vetro, scarpe rotte, frigoriferi e televisori usati; tre o quattro milioni di tonnellate di automobili vanno alla "rottamazione" contribuendo all'aumento dei metalli, gomme, oli usati che finiscono da qualche parte. La grande massa dei rifiuti della vita civile è estremamente sgradevole: ingombra le strade, puzza, lascia colare liquidi che inquinano le acque dei pozzi e dei fiumi, impone dei sistemi di raccolta costosi e che intralciano il traffico. E, come nella commedia di Ionesco, "Come sbarazzersene", anche i rifiuti aumentano sempre di volume e aumenta il disturbo che arrecano agli altri cittadini, al "prossimo" vicino, della stessa strada o città, o lontano, del luogo dove sono localizzati la discarica o l'inceneritore e addirittura al prossimo planetario per l'emissione di gas (metano, anidride carbonica) che derivano dalla decomposizione o combustione dei rifiuti e che alterano il clima planetario presente e futuro.

Ma i rifiuti non vengono giù dal cielo e sono il risultato di comportamenti buoni, anzi lodevoli, dei singoli cittadini, di quelle operazioni di "consumo" delle merci che i saggi governanti invitano ad aumentare continuamente perché così gira meglio l'economia. Si potrebbe avere lo stesso benessere, gli stessi servizi, gli stessi oggetti, generando meno rifiuti, arrecando "meno" danno al prossimo ? Si potrebbe e addirittura è richiesto dalle leggi: le fabbriche potrebbero diminuire la massa degli imballaggi e produrre imballaggi riciclabili, ma è scomodissimo e costoso cambiare la forma e la fabbricazione delle merci. Le singole persone potrebbero raccogliere separatamente la carta straccia che potrebbe essere riciclata, lo stesso vale per il vetro e la plastica; ma queste operazioni che, prima di essere rispettose dell'ambiente sarebbero rispettose del prossimo, in senso cristiano, se volete, sono tutte scomode. Bisogna fare cento passi di più per raggiungere il cassonetto di raccolta della carta, bisogna avere cura e sapere --- ma chi informa in maniera paziente e convincente ? --- che non si deve mettere carta e plastica insieme, vetro e plastica insieme (perché così non si ricupera più né plastica né carta né vetro).

La possibilità di vivere in un ambiente meno violento e più sano non dipende tanto dalla moltiplicazione delle discariche o degli inceneritori o delle marmitte catalitiche, ma da un ricupero dell'etica, del rispetto del prossimo, sollecitato dai governanti, dagli uomini di spettacolo, dagli uomini di chiesa che parlassero "opportune et importune", come scrive Paolo a Timoteo. La mia modesta esperienza suggerisce che le persone sono migliori di quanto si pensi: l'altro giorno ho visto, in una grande città, un cassonetto in cui i cittadini erano invitati a mettere le bottiglie di vetro "bianco", più facilmente riciclabile di quello colorato: il cassonetto era strapieno e bottiglie bianche erano depositate tutto intorno: i cittadini avevano raccolto un invito fatto bene e avevano risposto facilmente. Forse"il nemico" di cui parlava Pogo, siamo proprio noi che non parliamo con chiarezza e non testimoniamo con coerenza l'ecologia professata a parole.

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