Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it
Il 1972, quarant’anni fa, fu il culmine di un vasto movimento di “contestazione ecologica” che era cominciato dieci anni prima: la denuncia dei danni dei pesticidi clorurati come il DDT; degli erbicidi usati nel Vietnam per distruggere, in quel lontano, paese asiatico, le foreste tropicali in cui si rifugiavano i partigiani antiamericani; della contaminazione radioattiva seguita agli esperimenti nucleari nell’atmosfera; dell’inquinamento dovuto alle fabbriche e alle perdite di petrolio nel mare; la comparsa delle alghe nei mari; la crescita della popolazione mondiale, avevano richiamato l’attenzione dell’opinione pubblica sui guasti arrecati all’ambiente naturale e umano.
Le fotografie della Terra scattate dagli astronauti da grande distanza avevano mostrato che il nostro pianeta è una piccola palla azzurra nell’immensità degli spazi interplanetari, l’unica casa che abbiamo da cui trarre cibo, acqua, minerali, energia e in cui immettere le scorie e i rifiuti delle nostre attività, proprio come avviene nelle navicelle spaziali. L’immagine della Terra come navicella spaziale, “Spaceship Earth”, ebbe forte effetto emotivo tanto che si moltiplicarono i dibattiti e gli incontri, a cominciare dagli Stati Uniti, intrecciati con le altre contestazioni degli studenti e degli operai degli stessi anni sessanta.