martedì 16 marzo 2010

Kenneth Boulding, padre dell''economia ambientale

La Gazzetta del Mezzogiorno, martedì 16 marzo 2010

Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it

Cento anni fa nasceva Kenneth Boulding, l’economista che ha dato vita ad una nuova disciplina che descrive i rapporti fra l’economia e l’ambiente, due territori che hanno più punti di contatto di quanto si pensi. L’economia è un termine antichissimo che indica le norme che regolano quanto avviene in una casa (ecos), in una comunità, sotto forma di scambi di beni e di denaro fra gli abitanti; l’ecologia, una parola inventata appena un secolo e mezzo fa, indica come si svolgono i rapporti fra gli occupanti di una comunità biologica, di un ecosistema, che può andare da un piccolo stagno all’enorme mare, all’intero pianeta Terra.

Chimica -- Persone -- Lise Meitner

2011 Anno internazionale della Chimica


Giorgio Nebbia nebbia @quipo.it

Non sono tante le donne che hanno avuto un ruolo rivoluzionario nella modificazione del nostro pianeta: una di queste è stata Marie Curie (1867-1934), di cui sono ben note la vita e la storia scientifica: la scoperta della radioattività naturale riconosciuta con l'assegnazione di due premi Nobel. Un'altra, meno nota, ma altrettanto importante, è Lise Meitner (1878-1968), una fisica austriaca, vissuta a lungo in Germania, fuggita poi in Svezia per motivi razziali: la vera scopritrice del fenomeno della fissione nucleare sulla base di considerazioni puramente chimiche, per questo se ne parla fra le "persone della chimica". La vita e il destino di questo gigante della scienza sono stati ben descritti in un libro di Ruth Sime, pubblicato negli Stati Uniti.

sabato 13 marzo 2010

Chimica - Persone - Marie Curie

2011 Anno internazionale della Chimica

Immaginate un capannone col tetto dalla copertura sconnessa che lascia passare la pioggia, e immaginate un mucchio di terra scura per terra, e immaginate un bancone e una giovane donna, laureata in fisica e in matematica, che, al caldo e al freddo, passa le sue giornate a trattare quella terra scura a venti chili per volta, con acidi, e a filtrare e a ridisciogliere i residui con altri acidi ancora. E immaginate suo marito, un giovane professore di fisica che, accanto a lei, controlla ogni frazione di materiale separato con un apparecchio (di sua invenzione) che misura la presenza dei “raggi” che provocano una scarica elettrica fra due elettrodi. Raggi simili a quelli emessi dall’uranio e dal torio.

Chimica - Persone - Mendeleev

Il 2011 è stato dichiarato dalle Nazioni Unite anno internazionaleb della Chimica

Poche persone nella storia della cultura occupano una posizione così rilevante come Dimitri Mendeleev (1834-1907), il chimico russo che scoprì e divulgò una delle più straordinarie proprietà della materia, la regolarità del comportamento degli atomi. La scoperta di quella che oggi di chiama “Tabella di Mendeleev" aprì nuovi orizzonti alla conoscenza del mondo ed è dovuta a un grande scienziato che fu anche un personaggio pittoresco.

Nato in Siberia nel 1834, si trasferì da ragazzo a Mosca e studiò a Pietroburgo --- la leggendaria Leningrado del periodo sovietico, la città martire che fermò l’avanzata nazista verso oriente e resistette ad un assedio durato mille giorni, ora chiamata San Pietroburgo. Mendeleev continuò e approfondì gli studi di chimica nei laboratori chimici europei più famosi, in Francia e in Germania.

Nel 1866, a 32 anni, diventò professore universitario di chimica e tre anni dopo, nel 1869, pubblicò la prima edizione della tavola periodica degli elementi. Alla base di questa scoperta sta una visione illuministica: l'idea che le faccende della natura dovessero essere disposte "in ordine". Che ci fosse un ordine anche nelle proprietà degli elementi che compongono tutta la materia ? Per tentare una risposta a questa domanda Mendeleev cominciò a disporre, sulla carta, gli elementi noti in quel tempo, una sessantina, in ordine di peso atomico crescente.

Il peso atomico è un numero che indica di quante volte un atomo pesa più di un atomo di idrogeno, il cui peso atomico è preso (praticamente) uguale ad uno. Mendeleev dispose così, in una riga orizzontale, uno dopo l'altro, l'idrogeno (simbolo H; peso atomico 1), il litio (Li; 7), il berillio (Be; 9), il boro (B; 7), il carbonio (C; 12), l'azoto (N; 14), l'ossigeno (O; 16), il fluoro (F; 19).

L'elemento successivo era il sodio (Na; peso atomico 23), il cui comportamento chimico è simile a quello del litio. Mendeleev cominciò, così un'altra riga orizzontale, sempre disponendo gli atomi in ordine di peso atomico crescente e mettendo ciascun atomo nella casella sottostante l'atomo precedente dotato di comportamento simile. Dopo il sodio veniva il magnesio (Mg; 24) che ha comportamento simile a quello del berillio; l'alluminio (Al; 27), chimicamente simile al boro. Seguiva poi il silicio (Si; 28), che stava bene in colonna sotto il carbonio; il fosforo (P; 31) simile all'azoto; lo zolfo (S; 32), simile all'ossigeno; e il cloro (Cl; 35) simile al fluoro.

L'elemento successivo, in ordine di peso, era il potassio (K; 39) che Mendeleev potè sistemare convenientemente all'inizio di una terza riga orizzontale, in colonna sotto il litio e il sodio che hanno comportamento chimico simile a quello del potassio. Veniva poi il calcio (Ca; 40) che andava bene sotto il berillio e il magnesio.

A questo punto Mendeleev incontrò una serie di elementi con proprietà che non si erano ancora incontrate. Dovette allora predisporre, dopo due righe "corte", alcune righe "lunghe", ma il principio della periodicità delle caratteristiche chimiche continuava, in maniera soprendente, ad essere rispettato.

Continuando con questo criterio Mendeleev sistemò i 63 atomi che conosceva nel 1869; se non trovava al posto giusto l'atomo giusto lasciava vuota una casella e andava avanti. Nella edizione inglese del suo "Trattato di chimica", pubblicata nel 1891, figurano 65 elementi, con molti “vuoti”. Per esempio c’era una casella vuota fra il molibdeno (Mo) e il rutenio (Ru); se si osserva una tabella moderna si vede che oggi tale casella è occupata dal tecnezio (Tc), un elemento radioattivo, per inciso il primo elemento prodotto artificialmente con reazioni nucleari nel 1937 da Segrè; le sue proprietà corrispondono esattamente a quelle degli altri elementi della colonna in cui si colloca.

Mendeleev non conosceva i gas rari, o gas nobili: fra l'idrogeno (H) e il litio (Li) c'e' un altro elemento, l'elio (simbolo He), con peso atomico 4, il primo dei gas rari; il secondo gas raro, il neon (Ne), con il suo peso atomico 20 trova posto perfettamente nella casella sotto quella dell’elio, fra il fluoro e il sodio.

Nel 1935 gli elementi noti erano diventati 92; l'ultimo era l'uranio (U) che già Mendeleev conosceva. Con le reazioni nucleari sono stati preparati vari elementi artificiali di peso atomico superiore a quello dell'uranio, o transuranici. Giustamente a uno di questi, scoperto nel 1955, è stato dato il nome di "mendelevio" (simbolo Mv; peso atomico 256), in onore del chimico russo. Inutile dire che anche i transuranici presentano proprietà chimiche del tutto rispettose del principio di periodicità, rispetto agli elementi delle righe precedenti.

Tutto questo è ormai patrimonio della nostra cultura e anche i ragazzi che studiano qualche elemento di chimica nelle scuole medie conoscono bene la "Tabella di Mendeleev". Il riconoscimento della scoperta non fu, però, né rapido né facile. La scoperta fu accolta infatti con scetticismo e la sua importanza fu riconosciuta soltanto perché, nel corso degli anni settanta dell’Ottocento, furono identificati e analizzati vari nuovi elementi che si collocavano perfettamente nelle caselle lasciate vuote nella prima edizione della "tabella".

Questa verifica della validità della sua intuizione assicurò a Mendeleev una celebrità mondiale e, nel 1906, il premio Nobel per la chimica. Nonostante la celebrità, la vita del grande scienziato fu abbastanza agitata; Mendeleev fu anche un progressista e un contestatore. La Russia zarista ebbe un suo 'sessantotto' di contestazione universitaria e Mendeleev fu sempre dalla parte degli studenti, insieme ai quali fu arrestato dalla polizia durante una manifestazione.

Mendeleev viaggiava in ferrovia in terza classe per stare in mezzo al popolo e capirne i problemi. Si tagliava i capelli e la barba una volta all'anno; quando lo zar --- che era un tiranno, ma rispettava gli scienziati --- lo invitò a corte, gli addetti al cerimoniale chiesero a Mendeleev di mettersi un po' in ordine i capelli. Il grande chimico rispose che o lo zar lo riceveva così com'era, oppure sarebbe rimasto a casa propria. E la ebbe vinta.

All'esempio di indipendenza e di rigore morale si accompagnavano felici doti di sperimentatore, di docente e di divulgatore. Un suo trattato: "Principi di chimica", ebbe molte edizioni e fu tradotto in molte lingue contribuendo a diffondere la fama dell'autore e della scienza russa. Alcuni anni fa nei paesi civili il 150° anniversario della nascita di Mendeleev è stato celebrato con l'emissione di francobolli, con manifestazioni popolari, con trasmissioni televisive. In Italia niente. Per curiosità ho esplorato gli elenchi stradali delle grandi città per vedere se almeno una di queste avesse dedicato una strada a Dimitri Mendeleev.
Macché. E poi ci lamentiamo della crisi della chimica in Italia !

Chimica - Persone - Charles Goodyear

Il 2011 è stato proclamato dalle Nazioni Unite anno internazionale della Chimica

Non potremmo andare in automobile, non potremmo usare Internet, io non potrei scrivere questo articolo sul computer, non avremmo luce elettrica nelle case, non potremmo godere delle merci e dei beni della società moderna, se non fosse per Charles Goodyear (1800-1860), un uomo a cui dobbiamo tanto e a cui la società del suo tempo ha dato cosl poco.

Da ragazzo Goodyear aiutava il padre in un negozio di ferramenta che fallì abbastanza presto; le imprese commerciali a cui si dedicò nel corso della sua vita furono tutte degli insuccessi e morì in miseria; per tutta la vita fu ossessionato dai misteri della "gomma elastica", che, in quei primi anni dell'Ottocento, veniva importata dal Brasile e che aveva trovato soltanto qualche modesta applicazione commerciale. Si trattava della gomma estratta dalla corteccia di alcune piante del genere Hevea, presenti nella foresta brasiliana; un materiale elastico che poteva essere sciolto in un solvente e, in soluzione, poteva essere steso su un tessuto rendendolo impermeabile, anche se di pessima qualità; la gomma diventava appiccicosa col caldo e dura col freddo. La "febbre della gomma" che aveva investito l'America era già finita nel 1830; migliaia di oggetti di gomma venivano buttati via o restavano invenduti per questi inconvenienti.

La leggenda vuole che Goodyear, in prigione per debiti, si sia fatta portare dalla moglie dei campioni di gomma per vedere come potevano esserne migliorate le caratteristiche; se la gomma era appiccicosa forse aggiungendo qualche polvere l'inconveniente avrebbe potuto essere eliminato. Nei mesi successivi a Filadelfia provò a scaldare la gomma con magnesia, ma i vicini protestavano per la puzza che si levava dalla sua casa; per farla breve provò molte altre sostanze e, facendosi prestare dei soldi, cercò di produrre a New York sovrascarpe di gomma che erano una peggio dell'altra. La grande crisi economica americana del 1837 lo gettò sul lastrico e si ridusse a vivere con la moglie e i figli mangiando il pesce che pescava nel porto di Staten Island.

Nel 1839, sempre nella miseria più nera, Goodyear si trasferì a Woburn, nello stato del Massachusetts, cittadina destinata a diventare celebre proprio perché, nel febbraio di quell'inverno, Goodyear fece la scoperta fondamentale a cui resta legato il suo nome: provò a preparare una miscela di gomma e di polvere di zolfo e la lasciò su una stufa; la miscela prese fuoco e Goodyear la raffreddò rapidamente e, con grande sorpresa, si trovò fra le mani una gomma, ancora elastica, ma resistente al caldo e al freddo, impermeabile all'acqua, facilmente lavorabile e finalmente adatta per la preparazione dei manufatti con cui l'inventore avrebbe voluto riempire il mondo. Il caso aveva premiato l'uomo che aveva dedicato tutta la sua vita a trasformare la gomma greggia nel materiale più importante della storia, quello che si sarebbe chiamato "gomma vulcanizzata".

Dopo altri mesi di miseria, malattie, lutti familiari (dei dodici figli sei morirono in piccola età) finalmente trovò degli industriali che riconobbero l'importanza della scoperta. Goodyear tardò nel chiedere un brevetto per la sua invenzione e mandò vari campioni della nuova gomma in Inghilterra; uno di questi cadde sotto gli occhi di un famoso pioniere inglese della gomma, Thomas Hancock (1786-1865), che per venti anni aveva cercato anche lui di eliminare gli inconvenienti della gomma naturale, senza successo; Hancock notò la presenza di tracce di zolfo nella gomma vulcanizzata e immediatamente ripetè gli esperimenti che tanta fatica erano costati a Goodyear e brevettò, nel 1843, l'effetto vulcanizzante dello zolfo, appropriandosi della scoperta che Goodyear aveva fatto quattro anni prima. Quando Goodyear chiese di brevettare in Inghilterra la sua invenzione, scoprl che Hancock lo aveva preceduto di poche settimane.

Goodyear espose alle fiere mondiali di Parigi e Londra del 1850, i suoi oggetti di gomma vulcanizzata riscuotendo grande attenzione e successo, ma finì di nuovo in prigione per debiti, con tutta la famiglia. E fu in prigione che ricevette la croce della Legion d'Onore assegnatagli dall'imperatore Napoleone III come riconoscimento per la sua rivoluzionaria invenzione. Quando morì nel 1860 Goodyear lasciò 200.000 dollari di debiti alla famiglia; come testamento scrisse: "La vita non si può valutare soltanto sulla base dei soldi; non mi rammarico di avere seminato e che altri abbiano raccolto i frutti del mio lavoro. Un uomo deve rammaricarsi soltanto se ha seminato e nessuno raccoglie".

Quello che Goodyear aveva seminato fece esplodere la domanda mondiale della gomma; dal Brasile la coltivazione delle piante della gomma passò nel sud-est asiatico e in Africa; la raccolta della gomma provocò crisi militari, sfruttamento dei lavoratori, guerre, disastri ecologici: quando la gomma naturale cominciò a scarseggiare furono inventati dei surrogati sintetici.

Nel 2010 si sono prodotte nel mondo oltre sette milioni di tonnellate di gomma naturale e il doppio di gomma sintetica; trattato e vulcanizzato secondo l'invenzione di Goodyear tutto questo materiale entra nei copertoni di automobile e di aereo, nei fili elettrici, nei nastri trasportatori dei raccolti agricoli, nelle scarpe, in innumerevoli merci e processi industriali. "Goodyear" è oggi il nome di uno dei colossi dell'industria della gomma, anche se l'inventore della vulcanizzazione e la sua famiglia non ebbero niente a che fare con questa impresa e non ne trassero alcun vantaggio.

Chimica - Persone - Henry Bessemer

Il 2011 è stato proclamato dalle Nazioni Unite anno internazionale della Chimica

Il 14 agosto 1856 il “Times”, il più grande quotidiano britannico, pubblicò in prima pagina per intero la relazione presentata due giorni prima (badate anche alle date: era la vigilia di quello che per noi sarebbe il ferragosto, un periodo generalmente di stanca) alla riunione dell’Associazione britannica delle Scienze a Cheltenham, da Henry Bessemer (1813-1898), scienziato, imprenditore e inventore del primo processo per la fabbricazione su larga scala dell’acciaio.

Quel 1856 cambiò letteralmente il mondo: l’acciaio, da metallo costoso, diventò un materiale che poteva essere prodotto a basso prezzo, in grandissima quantità, e che poteva essere impiegato per fabbricare non più solo i cannoni, ma anche rotaie ferroviarie, caldaie, locomotive, travi, ponti, navi, macchine tessili, caldaie per zuccherifici, eccetera.

Bessemer ha raccontato lui stesso la propria vita, o meglio la propria avventura umana, in una affascinante autobiografia che si può leggere anche in Internet (http://www.history.rochester.edu/ehp-book/shb/). All’invenzione del “processo” che oggi porta il suo nome, Bessemer arrivò dopo una serie di imprese nel campo della fusione del vetro e di altri metalli. Ma era l’acciaio il materiale strategico per eccellenza, che attirava la sua attenzione: in tutti i paesi industriali allora l’acciaio era fabbricato in due fasi: dapprima i minerali di ferro venivano trattati con carbone coke e trasformati nella ghisa, una lega di ferro e carbonio con un elevato contenuto di carbonio (circa 3 o 4 per cento), per cui risulta fragile e di limitato impiego. Per ottenere l’acciaio (una lega di ferro con meno dell’uno per cento di carbonio) la ghisa doveva essere fusa insieme al costoso ferro dolce, praticamente privo di carbonio e prodotto in Svezia. Dalle acciaierie svedesi dipendeva quindi lo sviluppo di tutti i paesi industriali.

Bessemer ebbe l’idea rivoluzionaria di eliminare il carbonio dalla ghisa scaldandola ad alta temperatura in presenza dell’ossigeno dell’aria: in questo modo gran parte del carbonio brucia e resta l’acciaio. Bessemer, dopo molti tentativi, costruì un forno fatto a pera, con una stretta apertura rotonda in alto, rivestito all’interno da mattoni refrattari. Il forno poteva essere fatto ruotare intorno ad un asse orizzontale, per cui la bocca poteva, a volta a volta essere rivolta verso l’alto, oppure verso il basso.

Sul fondo della “pera” erano aperti dei fori per l’ingresso dell’aria calda sotto pressione. Quando il forno era verticale, attraverso la bocca veniva versata ghisa fusa, estratta direttamente dall’altoforno: a questo punto veniva fatta entrare l’aria dal fondo. Durante la combustione del carbonio ad opera dell’ossigeno, si liberava calore che teneva allo stato fuso l’acciaio a mano a mano che si formava dalla ghisa. In un quarto d’ora la reazione era finita e il forno veniva inclinato verso il basso in modo da far uscire l’acciaio fuso.

Il processo funzionava senza consumo di energia (i problemi ecologici e di economia delle risorse non li abbiamo certo inventati noi !) ed appariva, in quella metà del 1800, una cosa da meritare, come si accennava all’inizio, l’attenzione del più diffuso quotidiano inglese. Non c’è dubbio che il processo Bessemer contribuì, più di qualsiasi altra invenzione, alla nascita della società industriale moderna e del capitalismo.

Sta di fatto che, appena letto l’articolo del “Times”, vari industriali francesi e tedeschi si precipitarono a Londra per chiedere la cessione del brevetto. Il processo Bessemer non era perfetto: non riusciva a trattare le ghise della Lorena, ricche di fosforo, un problema risolto da Sidney Thomas (1850-1885) che ricoprì l’interno del convertitori Bessemer con mattoni di calcare. Durante la trasformazione della ghisa in acciaio il fosforo veniva fissato dal calcare sotto forma di fosfato di calcio. Si trattava di un “rifiuto” che si rivelò prezioso come concime fosfatico e che fu usato per oltre un secolo con il nome di “Scorie Thomas”. Figuratevi che l’Italia ne importa una sia pur piccola quantità ancora oggi dalla Francia.

Il processo Bessemer era in grado di ottenere acciaio soltanto partendo dalla ghisa, non dai rottami ferrosi che si stavano già accumulando in grande quantità già in questa meyà dell’Ottocento: il problema della loro utilizzazione risolto dallo studioso francese Pierre-Emile Martin (1824-1915) che inventò, nel 1865, un forno (che si chiama ancora oggi Martin-Siemens), in grado di fondere insieme ghisa e rottami, riscaldati ad alta temperatura.

E’ vero che il processo richiedeva energia ottenuta bruciando carbone, ma la formazione dell’acciaio avveniva più lentamente, poteva essere tenuta sotto controllo, si potevano aggiungere altri metalli per ottenere le leghe richieste dall’industria meccanica, e, infine, i forni Martin-Siemens erano molto grandi e permettevano di ottenere, per unità di tempo, più acciaio di quanto non consentissero i convertitori Bessemer.

All’inizio del 1900 i forni Martin avevano soppiantato in gran parte il forno Bessemer, ma anche per il processo Martin si stava affacciando un pericoloso concorrente. Alcuni inventori e industriali austriaci avevano perfezionato il forno Bessemer: introducendo, dal fondo, ossigeno puro, anziché aria, era possibile ottenere acciaio dalla ghisa e dai rottami di ferro insieme, e addirittura direttamente dai minerali di ferro. Circa la metà dell’acciaio nel mondo è prodotta con questo processo LD a ossigeno: gran parte dei rottami sono trasformati in acciaio con il forno elettrico che non ha più bisogno di ghisa

L’acciaio ha dominato le società industriali (al punto che Stalin scelte il proprio nome di battaglia proprio dal nome dell’acciaio, Stal), e le domina ancora. La produzione mondiale di acciaio si aggira nel 2010 intorno a 1300 milioni di tonnellate all’anno; il 40 % in Cina.

venerdì 12 marzo 2010

Chimica - Persone - Walter Ciusa

Il 2011 è stato proclamato dalle Nazioni Unite anno internazionale della Chimica


Walter Ciusa (1906-1989), laureato in Chimica, è stato assistente (allora esistevano ancora) di Merceologia a Bari dal 1928 al 1931 quando l’Istituto era diretto da Giuseppe Testoni (1877-1957); è stato poi assistente di Merceologia nell’Università di Bologna fino al 1947 quando è tornato a Bari come professore di ruolo.

Erano anni ruggenti, di ricostruzione di quanto distrutto dalla guerra, ma anche di grandi speranze; l’Istituto di Merceologia di Bari si trovava nell’attico del palazzo della Facoltà di Economia e Commercio, sul lungomare, e il laboratorio chimico aveva ancora le tracce dell’occupazione da parte dell’esercito inglese che lo aveva usato dopo la Liberazione di Bari nel 1943 per le proprie analisi.

Le riviste erano poche, anche se la biblioteca possedeva ancora libri e preziose collezioni raccolte dai professori che si erano succeduti a insegnare Merceologia dal 1886 in avanti; esisteva un ricco Museo merceologico; le apparecchiature erano antiquate; alcune erano ancora quelle che Ciusa aveva usato da assistente, anni prima. Il personale era poco, un assistente, Giuseppe Adamo, un ”tecnico”, Francesco Di Taranto, un “bidello” (mi viene da sorridere usando questi termini antiquati, di una università ormai scomparsa, ma che era tutt’altro che arretrata).

Eppure, anche in quelle condizioni di fortuna, Ciusa, con due libri fondamentali, pubblicati nel 1948 e nel 1954 --- "I cicli produttivi e le industrie chimiche fondamentali", e “Aspetti tecnici ed economici di alcuni cicli produttivi" --- ormai purtroppo introvabili, impresse una svolta decisiva nel campo della Merceologia. Questa disciplina, insegnata per lo più da chimici nelle Facoltà di studi economici, per molti decenni si era arenata nella descrizione pura e semplice delle merci; Ciusa indicò che essa doveva dedicarsi piuttosto all’analisi dei “cicli produttivi”, intesi come processi di trasformazione delle risorse naturali in prodotti commerciali, da studiare nei loro bilanci di materia e di energia, con particolare riferimento al ruolo che il riutilizzo di scarti e sottoprodotti ha e avrebbe avuto nello stimolare innovazioni tecnologiche. Con questa impostazione il prof. Ciusa anticipava i problemi che sarebbero diventati centrali, alcuni decenni dopo, negli studi che si sarebbero chiamati “ambientali”.

Fra le molte ricerche sperimentali nel campo strettamente merceologico si possono ricordare quelle condotte da Ciusa su nuovi metodi di analisi fluorimetriche per svelare le frodi, che stavano dilagando negli anni cinquanta del Novecento, di molti prodotti commerciali, fra cui gli oli di oliva e le paste alimentari.
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Ciusa fu poi chiamato come professore ordinario di Merceologia nell’Università di Bologna, dove rimase fino alla pensione. Professore emerito, medaglia d’oro dei benemeriti della cultura, membro di varie accademie scientifiche fra cui quella Pugliese delle Scienze di Bari e quella delle Scienze di Bologna, merita di essere ricordato per molti contributi di avanguardia, come una interessante e originale analisi del “valore” delle merci, soprattutto alimentari, sulla base delle caratteristiche chimiche ed energetiche, anche in questo caso anticipando le ricerche sul valore in unità fisiche, che sarebbero state affrontate, da molti altri, negli anni successivi. In alcune ricerche, inoltre, Ciusa scoprì e descrisse il ruolo della vitamina B1 nei processi di transmetilazione, con speciale riguardo al ruolo biologico dei metili e dei radicali liberi, oggi divenuti tanto di moda..

Come docente il prof. Ciusa ha stimolato e sostenuto, con grande generosità, i giovani collaboratori e assistenti, molti dei quali hanno successivamente coperto cattedre universitarie nelle Università di Bologna, Bari, Pisa, Pescara, Lecce e altre. Come pochi altri studiosi ha sempre incoraggiato le ricerche dei suoi allievi anche in campi “eterodossi” rispetto agli orientamenti tradizionali della Merceologia. Essendo stato suo assistente per molti anni, posso ben testimoniare il sostegno ricevuto nelle ricerche in campi come l’utilizzazione dell’energia solare e la dissalazione delle acque, temi che molti ritenevano estranei alla Merceologia; sarebbe stato necessario aspettare gli anni recenti per vedere riconosciuta l’importanza dei concetti di “merce-energia” e di ”merce-acqua” che Ciusa aveva anticipato decenni fa.

Nel suo lavoro il prof. Ciusa ha sempre prestato grande attenzione agli aspetti storici dei fenomeni di produzione e consumo delle merci. Nel 1961 ha fondato la Società Italiana di Merceologia. Gran parte degli scritti di questo importante studioso sono stati pazientemente raccolti nell’archivio biblioteca di storia contemporanea della Fondazione Micheletti di Brescia. In questo periodo in cui cadono, a Bari, ottanta anni dall’istituzione dell’Università e 120 anni dalla nascita della Facoltà di studi economici, forse una ricostruzione della storia almeno di alcuni delle migliaia di docenti che vi hanno insegnato (anche di quelli dimenticati) farebbe certamente bene agli studenti odierni e sarebbe motivo d’orgoglio per i cittadini pugliesi.

Chimica - Persone - William Carothers

Il 2011 è stato proclamato dalle Nazioni Unite anno internazionale della chimica


Ho davanti una fotografia del 1940: in una strada centrale di New York un cordone di polizia tiene a bada una folla di persone. Appena sette anni prima, in piena crisi economica, la folla sarebbe stata costituita da disoccupati. Quel giorno del 1940 la folla premeva per entrare nei primi negozi in cui si vendevano le calze da donna fatte con una nuova miracolosa fibra sintetica, il nylon. In otto anni il "nuovo corso" del presidente americano Roosevelt (eletto nel 1933) aveva ridato fiducia al paese, rimesso in moto l'economia, spinto l'industria e le università a nuove ricerche, invenzioni e produzioni. In questo clima, nei laboratori scientifici della società DuPont un giovane chimico fece due scoperte rivoluzionarie: la gomma sintetica clorurata, neoprene, e la prima fibra sintetica poliammidica, il nylon.

Purtroppo l'inventore, William Carothers, nato nel 1896 non era riuscito a vedere il successo del suo lavoro; si era infatti suicidato nell'aprile del 1937.

La scoperta del nylon ha alcuni aspetti straordinari: già nei decenni precedenti erano comparse sul mercato delle fibre artificiali, costituite da cellulosa rigenerata o da derivati della cellulosa (i vari tipi di "raion") o da proteine rigenerate. Negli anni trenta era comparsa qualche fibra sintetica, ma di scadente qualità. Carothers abbe l'idea di preparare sinteticamente una fibra che avesse una struttura chimica simile a quella delle proteine che costituiscono la seta e la lana.

Nel 1935 Carothers riuscì, dopo lunghe ricerche teoriche e fondamentali e innumerevoli tentativi, a far combinare l'acido adipico con l’esametilendiammina in modo da ottenere una poliammide con legami simili a quelli che si trovano, appunto, nelle proteine naturali.

La nuova fibra si rivelò una sostanza fuori del comune: aveva la leggerezza della seta e la resistenza dell'acciaio. A differenza di quanto avviene nelle fibre naturali, il cui diametro è sempre uguale, regolato dalla funzione biologica del baco da seta o dalla formazione dei peli nelle pecore, la nuova fibra poteva essere preparata con diametri variabili a piacere: si potevano ottenere fili sottilissimi ben adatti per la fabbricazione di calze da donna, fino a fili più grossi adatti come setole per gli spazzolini da denti o per la produzione di reti o addirittura di cordami.

Il 27 ottobre 1938 la DuPont annunciò la scoperta del nylon, la fibra "fabbricata da carbone, aria e acqua", presentata poi all'esposizione universale di New York del 1939. Poco dopo arrivarono nei negozi le prime calze da donna di nylon, sottili e trasparenti e resistenti alle smagliature, tanto facili e fastidiose nelle calze di seta. L'entusiasmo dei consumatori fu così grande che il nylon diede un contributo anche alla ripresa dell'economia americana.

Il nylon, una delle meraviglie del secolo, scomparve però presto dai negozi: era cominciata la seconda guerra mondiale e tutto il nylon prodotto fu impiegato a fini militari, per realizzare le corde e le calotte dei paracadute, i traini degli alianti che permisero lo sbarco delle truppe anglo-americane in Europa, i cordami delle navi e infiniti altri oggetti. Finita la guerra, ancora una volta il ritorno delle calze di nylon nei negozi fu un segnale della pace e della ripresa della vita.

Straordinaria come quella del nylon fu la storia del suo inventore: diplomato in ragioneria, Carothers si laureò e ottenne un dottorato in chimica nel 1924; insegnò in varie università e nel 1928 gli fu offerto di entrare nell'industria DuPont. Carothers accettò solo a condizione di poter condurre ricerche di base in piena indipendenza e libertà.

Il patto andò bene soprattutto alla DuPont perché le ricerche di Carothers, ancora oggi fondamentali nel campo delle macromolecole, portarono ben presto alla scoperta del neoprene, il polimero del clorobutadfiene, e poi del nylon, inventato nel 1934 e brevettato nel 1936. Nonostante gli onori e i riconoscimenti ricevuti Carothers era sempre scontento e depresso ed ebbe una vita sentimentale travagliata. A parte la fine prematura del protagonista, la vicenda scientifica di Carothers e delle sue scoperte offre un piccolo spaccato di un tempo di grandi speranze, di coraggio, di voglia di scoprire i segreti della natura e di lungimiranza e successo imprenditoriale.

Chimica - Persone - Linus Pauling

Il 2011 è stato proclamato dalle Nazioni Unute anno internazionale della chimica

A Linus Pauling (1901-1994) si devono contributi fondamentali nella chimica e nella biologia e una grande lezione di impegno civile per la pace e contro le bombe atomiche.

Nato nell’Oregon, uno degli stati della costa del Pacifico degli Stati Uniti, da una famiglia povera, lavorò per poter studiare e frequentare l’Università dove si diplomò in scienze per passare poi a studiare chimica fisica all’Università della California a Pasadena. I primi successi di Pauling vennero dalle sue ricerche sulla “natura del legame chimico”. Un fondamentale libro con questo nome, fu pubblicato nel 1939 e fu tradotto in italiano subito dopo la Liberazione, alla fine della lunga notte di isolamento internazionale e culturale imposto dal fascismo.

La prima importante sede di insegnamento e di ricerca di Pauling fu il California Institute of Technology a Pasadena e qui, oltre a molti altri temi, affrontò quello della struttura delle proteine. Come è ben noto, le proteine sono costitute da lunghe successioni di amminoacidi uniti fra loro con legami ---CO—NH--- Alla fine degli anni trenta non si sapeva, però, come fosse organizzata questa successione di amminoacidi; Pauling, insieme col collega Corey, avanzò l’ipotesi che essi fossero disposti in una elica, una ipotesi che si rivelò vera quando Pauling vide, in Inghilterra, nel 1948, le prime “fotografie” degli spettri di diffrazione della cheratina.

Il primo articolo di Pauling sulla struttura delle proteine apparve nel 1952 ed ebbe una grandissima risonanza; Pauling estese la teoria della struttura ad elica all’acido desossiribonucleico, DNA, un tema su cui stavano lavorando, in Inghilterra, anche i chimici Watson e Crick. Nel 1951 furono ottenuti gli spettri di diffrazione delle molecole del DNA che furono rese pubbliche nell’aprile 1952 durante un congresso a Londra e Watson e Crick, sulla base di tali “fotografie”, proposero per il DNA quella struttura “a doppia elica” per cui sarebbero divenuti celebri nel mondo. Sarebbe arrivato allo stesso risultato, prima di loro, se avesse potuto partecipare a Londra allo stesso congresso, anche Pauling che invece non poté allontanarsi dagli Stati uniti perché il governo gli aveva tolto il passaporto per le sue presunte attività “antiamericane”.

E quello di contestatore fu un altro volto di Linus Pauling, ispirato anche dalla moglie Ava Helen (1903-1981), che aveva sposato nel 1923 e che era una attivista nei movimenti dei diritti civili e pacifisti. Pauling aveva rifiutato l'invito di Oppenheimer di andare a lavorare al Progetto Manhattan che portò alla produzione delle prime bombe atomiche. Davanti ai risultati delle esplosioni delle bombe atomiche americane su Hiroshima e Nagasaki (agosto 1945) e poi alla luce degli effetti delle esplosioni nucleari sperimentali nell’atmosfera, Pauling decise di dedicare una parte rilevante del suo impegno nei movimenti per la cessazione dei tests nucleari e per l’abolizione delle bombe atomiche.

Già nel 1948 Pauling con pochi altri aveva fondato un comitato che chiedeva a tutti i paesi di collaborare per tenere sotto controllo internazionale gli strumenti di guerra nucleare e per promuovere la pace. Per queste attività nel novembre del 1950 fu sottoposto ad inchiesta da parte di una commissione del Senato dello stato della California. Erano i primi giorni della caccia alle streghe lanciata dal senatore repubblicano Joe McCarthy e gli effetti si fecero subito sentire. Nel gennaio 1952, in vista dl congresso di Londra sopra accennato, il passaporto era stato negato a Pauling "perché non sarebbe stato nell'interesse degli Stati Uniti".

Pauling insistette e sotto giuramento dichiarò di non essere un comunista, di non aveva avuto legami col partito comunista e di essere un leale cittadino americano. Ma neanche questo bastò e non bastò neanche la lettera che Einstein scrisse al Dipartimento di stato degli Stati uniti rivendicando il diritto che questo scienziato aveva di viaggiare.

Pauling continuò la sua azione di pacifista e nel 1953 pubblicò un celebre libro: "Mai più guerre" ("No more war", che non mi risulta sia stato tradotto in italiano). Intanto nello stesso anno gli fu assegnato il premio Nobel per la chimica (l'intera motivazione si trova nel sito Internet www.nobel.se/chemistry/laureates/1954/press.html), premio che Pauling poté ritirare soltanto un anno dopo, quando finalmente gli fu restituito il passaporto.

La rievocazione di questi eventi di mezzo secolo fa non sembri oziosa ai lettori italiani del 2001 che stanno vivendo un oscuro periodo della storia del loro paese e internazionale.

Pauling, pur continuando il suo insegnamento, le sue ricerche e le sue conferenze, fu coinvolto in grado sempre maggiore nelle lotte per la pace e contro i pericoli di contaminazione radioattiva del pianeta provocata dai test delle bombe atomiche esplose nell'atmosfera.

Nel 1955 ebbe un ruolo centrale nella redazione della "dichiarazione di Mainau" che fu riamata da 52 premi Nobel. Il 23 aprile 1957 Albert Schweitzer (1875-1965), premio Nobel per la pace 1953, lesse, alla radio di Oslo, un accorato appello per fermare la proliferazione delle armi nucleari; un appello che fu riprodotto nella stampa internazionale anche se fu deliberatamente ignorato in alcuni paesi. Nel maggio dello stesso 1957 Pauling tenne una conferenza alla Washington University di St.Louis, nel Missouri, dove insegnava anche il biologo Barry Commoner, anch'egli attivo nella mobilitazione degli scienziati contro le armi nucleari. Proprio quel Barry Commoner che sarebbe diventato celebre in Italia, anni dopo, come leader della contestazione ecologica.

Con Commoner e con Ed Condon, Pauling redasse un appello, che fu firmato da 2000 scienziati americani e da oltre 8000 scienziati stranieri, e che fu inviata nel 1958 al Segretario generale delle Nazioni Unite, Dag Hammarskjold; l'appello metteva in guardia contro i pericoli della ricaduta radioattiva delle esplosioni nucleari nell'atmosfera e ne chiedeva l'immediata cessazione.

Nel 1960 Pauling fu convocato da una speciale commissione del Senato americano e fu invitato sotto giuramento a riferire come erano state raccolte le firme dell'appello; Pauling si rifiutò di fare tali nomi.

L'iniziativa aveva comunque portato alla sospensione, dal 1958 al 1961, dei tests nucleari nell'atmosfera. Tali tests furono ripresi nel 1961 dall'URSS e nel 1962 dagli Stati Uniti, dal presidente Kennedy.

Quell'anno Pauling e la moglie furono invitati alla Casa Bianca insieme ai premi Nobel occidentali; nel pomeriggio dello stesso giorno marciarono davanti alla Casa Bianca per protestare contro le bombe atomiche --- poi andarono alla cena dei Kennedy.

Il 10 ottobre 1962 fu annunciata l'assegnazione a Pauling del premio Nobel per la Pace: Pauling è stato l'unica persona che ha avuto, da solo, due premi Nobel. (L'intera motivazione di tale premio può essere letta su Internet nel sito: www.nobel.se/peace/laureates/1962/press.html)

L'annuncio scatenò una ondata di protesta in America contro questo scienziato che la stampa reazionaria considerava nemico dell'America. Tuttavia Kennedy tenne conto del movimento contro le esplosioni nucleari nell'atmosfera e nell'estate del 1963, poco prima di essere ucciso, annunciò di avere raggiunto un accordo con il segretario dell'URSS Krusciov per la sospensione delle esplosioni nucleari nell'atmosfera e negli oceani, il Partial Test Ban Treaty. Dopo mille esplosioni nucleari nell'atmosfera le esplosioni sono continuate nel sottosuolo: altre mille dal 1963 ad oggi (ma la Francia ha continuato a far esplodere bombe nell'atmosfera fino al 1977).

Solo di recente è stato firmato, ma non è ancora entrato in vigore, il trattato per il divieto totale delle esplosioni nucleari: nonostante gli appelli di tanti scienziati per un disarmo nucleare, le bombe nucleari negli arsenali del mondo sono ancora oltre ventimila, con una potenza distruttiva cinquecento volte superiore a quella di tutti gli esplosivi usati durante la seconda guerra mondiale (1939-1945).

Ma torniamo a Pauling. Nel 1963 il California Institute of Technology mostrò di non gradire il suo impegno politico e Pauling lasciò l’insegnamento e continuò le ricerche in un proprio “Linus Pauling Institute” (www.lpi.orst.edu/). Tali ricerche riguardarono temi anche controversi come quello della medicina e della psichiatria “ortomolecolare” e quello degli effetti che forti dosi quotidiane di vitamina C hanno sulla prevenzione delle malattie.

Pauling ha disposto che la sua biblioteca e il suo archivio, di decine di migliaia di libri e articoli e di centinaia di migliaia di lettere e appunti, fosse lasciato all’università statale dell’Oregon, da cui aveva mosso i primi passi. Un catalogo di tale immenso patrimonio, una bibliografia completa e molte notizie su Linus e Alma Pauling si trovano in Internet nel sito: (2500 pagine su Pauling si trovano anche nell’archivio dell’FBI; anche in questo caso il coraggio civile ha avuto la meglio sull’oscurantismo e sulle persecuzioni politiche).

domenica 7 marzo 2010

Benedetto Goes, dall'India alla Cina nel Seicento

La Gazzetta del Mezzogiorno, domenica 21 gennaio 2007

Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it

“Adesso posso andarmene”: con queste parole, tratte dal cantico del vecchio Simeone, che morì felice dopo aver visto il bambino Gesù, spirava, esattamente 400 anni fa, anche Benedetto Goes (1561-1607), gesuita portoghese, felice di aver compiuto la missione che gli era stata affidata dai superiori. Siamo alla fine del 1500 e, con grandi peripezie, alcuni gesuiti, fra cui Matteo Ricci (1552-1610), erano riusciti ad arrivare, per via mare, a Macao e quindi in Cina, per portare la conoscenza del Cristianesimo, ma anche per far arrivare in Occidente notizie su quello sterminato impero, chiuso agli stranieri, ad eccezione dei mercanti. Ricci chiamava quella terra “Cina” e la sua capitale “Pechino”, ma Marco Polo, due secoli prima, aveva raccontato di aver raggiunto, via terra, attraverso l’Asia, lo stesso paese che però chiamava “Catai” e la capitale “Canbaluc”. La Cina e il Catai erano lo stesso paese ? Probabilmente si, ma occorreva una riprova “sperimentale”; occorreva, cioè, ripercorrere la via terrestre descritta da Marco Polo per raggiungere la capitale del lontano impero; se tale capitale era la Pechino dove si trovava Matteo Ricci il problema sarebbe stato risolto.

lunedì 1 marzo 2010

Alla ricerca di una società biotecnica

Villaggio Globale, 13, (49), marzo 2010 [3172]
http://www.vglobale.it/index.php?option=com_content&view=article&id=11470%3Aalla-ricerca-di-una-societa-biotecnica&catid=1041%3Auna-societa-a-misura-duomo&Itemid=118&lang=it

Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it

La risposta ecologica ai tempi che stiamo attraversando dipende da scelte sociali ed economiche, e in particolare dal tipo di beni materiali che sono e saranno prodotti e “consumati”; è la produzione e l’uso di tali beni che assorbe energia e inquina i cieli, che altera il ciclo dell’acqua e provoca le modificazioni del clima. Una società che operasse “pro bono publico” non avrebbe difficoltà a trovare le soluzioni che hanno il minore effetto ambientale, ma la società è dominata da strutture di potere e da interessi privati che portano a decisioni, mascherate dalla volontà di fare del bene alla collettività, che trascinano la collettività stessa in una serie di trappole. Poche persone al mondo hanno descritto la violenza del potere sulla vita e sull’ambiente come l’americano Lewis Mumford (1895-1990). Di lui è difficile dare una definizione: urbanista e studioso di architettura, scrittore di arte e di letteratura, storico, analista e critico della tecnica e delle sue innovazioni, giornalista attento ai mutamenti del suo tempo, polemista e pacifista.