Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it
Mai come in questi anni il problema
del cibo, la gastronomia, la cucina, hanno occupato spazio nei mezzi di comunicazione,
giornali, televisioni, nelle conversazioni, eccetera. Un po’ è il frutto
benefico dell’esposizione di Milano dell’anno scorso, che aveva come tema: “Nutrire
il Pianeta, Energia per la vita”. A mio parere però poca attenzione è stata
dedicata alla seconda parte dello slogan, anche se, a ben guardare il principale
fine del cibo è proprio fornire energia al corpo umano, quella che permette ai
muscoli pompare aria nei polmoni, di espellere i prodotti della respirazione,
di far circolare il sangue, di sollevare pesi, di salire i gradini; anche se le
occupazioni apparentemente sedentarie comportano un consumo di energia perché
si muovono i muscoli anche per sfogliare un libro, per battere sui tasti di un
computer, per stare seduti davanti al televisore. Poi vengono la gioia del
nutrirsi, la convivialità, le mode alimentari e tutto il resto.
Ma prima di tutto il cibo viene bruciato nel
corpo umano per liberare energia meccanica, proprio come la benzina nel motore
di un’automobile. Tanto è vero che si parla di metabolismo umano, un termine che viene dal greco e indica proprio la trasformazione
del cibo, la principale materia in entrata nel processo della vita umana.
Per vedere come funziona
questa macchina umana, con quale rendimento il cibo si trasforma in energia, prendiamo,
in prima approssimazione, una persona media, diciamo del peso di 60 chili, e
come unità di tempo un giorno.
Tutti i numeri che seguono
sono approssimati e servono solo a fini illustrativi. Per vivere ogni persona
deve ingerire ogni giorno circa un chilo di alimenti, circa tre chili di acqua
e circa un chilo di ossigeno (presenti nell’aria respirata); gli alimenti sono
costituiti da varie sostanze nutritive solide e da acqua; le sostanze
nutritive, come è ben noto, possono essere
carboidrati come zuccheri, amido, cellulosa, o grassi, come olio o
burro, ma anche il grasso della carne, o proteine, le numerosissime e varie
molecole azotate, costituite da amminoacidi, presenti nel pane, nella pasta,
nella carne, nelle verdure, insomma praticamente in tutti gli alimenti.
Tutta la massa della materia
entrata nel corpo umano si ritrova alla fine del processo, diciamo alla fine di
una giornata, nella stessa quantità: l’acqua bevuta e quella presente negli
alimenti, diciamo tre chili, si ritrova come vapore nei gas della respirazione
e come liquido negli escrementi, il carbonio e l’azoto presenti negli alimenti
si ritrovano in parte come anidride carbonica nei gas della respirazione,
diciamo un chilo, e come sostanze solide negli escrementi liquidi e solidi,
diciamo un altro chilo. Circa cinque chili di materia entrata nel corpo umano e
cinque chili di materia uscita, e tutto per fornire al corpo l’energia necessaria
perché possa muoversi, dormire, lavorare, fare all’amore, eccetera, per un
intero giorno.
Quel chilo di cibo “mangiato”
durante un giorno ha un suo “contenuto” di energia che si libera quando
ciascuna delle molecole reagisce con l’ossigeno. La quantità di energia
liberata da una unità di peso, diciamo un grammo, di ciascun ingrediente del
cibo, misurata in chilocalorie (kcal) o in joule (J), risulta: carboidrati: 4
chilocalorie (16 chilojoule); grassi: 9 chilocalorie (37 chilojoule); proteine:
4 chilocalorie (16 chilojoule).
Adesso, per legge, il
“contenuto” di energia di ciascun alimento deve essere indicato nelle
confezioni: su una lattina di carne in scatola leggo: ”256 kJ/61 kcal” per 100
grammi; su una lattina di fagioli in scatola leggo: “367 kJ/87 kcal” per 100
grammi di “prodotto sgocciolato”. Il lettore non farà fatica a riconoscere
l’equivalenza fra 1 chilocaloria e quattro (esattamente 4,2) chilojoule.
Adesso dovremmo essere in
grado di valutare l’efficienza vera e propria dell’organismo umano sulla base
del rapporto fra l’energia entrata col cibo e quella spesa per svolgere le
operazioni vitali durante una giornata. Nell’esempio sopra riportato calcoliamo
che il chilo di cibo, ipotizzato per soddisfare il fabbisogno alimentare di un
giorno, abbia un “contenuto energetico” di 3000 chilocalorie, pari a 12
megajoule; la “produzione” di energia di una persona, sotto forma di lavoro
muscolare, quando il corpo cammina, lavora, studia e dorme (anche quando si
dorme si impiega energia), eccetera, si aggiri intorno a 0,5 chilowattore al
giorno, pari a circa 2 MJ/giorno. L’efficienza della trasformazione risulta,
così, di meno del 20 %, 2 MJ rispetto ai 12 ingeriti, abbastanza bassa. A
titolo di confronto, ci vorrebbe l’energia di un’intera giornata di vita di una
persona per spostare una automobile di appena un chilometro. Quando sentite
dire “tu vali”, può darsi che una persona valga per l’intelligenza, per la
bellezza, per le prestazioni sportive, ma dal punto di vista dell’efficienza
energetica vale ben poco.
Tutta l’altra energia che il
cibo ha liberato nell’organismo va “perduta” sotto forma di calore nei gas di
respirazione, per scaldare il corpo e difenderlo dal freddo esterno, nel
sudore, eccetera.
E così siamo arrivato alla
condanna biblica del secondo principio della termodinamica; ogni trasformazione
di energia fornisce energia utile sempre e soltanto in quantità inferiore a
quella in entrata; il resto va dissipato nell’ambiente circostante. Forse è
questa la punizione per aver mangiato il frutto dell’albero della conoscenza:
si possono avere delle cose, ma soltanto meno di quanto ci si aspetterebbe.
Trattare il corpo umano come
una macchina può sembrare irrispettoso, ma così vanno le cose dal punto di
vista della materia e dell’energia. La condanna alla “perdita di energia” vale
per qualsiasi “processo” o macchina che trasforma l’energia da una forma
all’altra, dal calore all’energia meccanica, dall’energia meccanica all’energia
elettrica, eccetera --- sempre con una efficienza inferiore al 100 %.
Per farla breve, le fonti di energia,
comprese quelle alimentari, sono indispensabili per la nostra vita biologica e
economica; usiamole e godiamone, ma nel goderne non dimentichiamo che bisogna
sempre passare attraverso la porta stretta dell’efficienza, una grandezza
sempre inferiore al 100 %; qualcosa si perde sempre: frasi come zero perdite,
zero rifiuti sono puri inganni. La natura non da niente gratis.
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