Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it
A
proposito della conferenza COP21 di Parigi si sono sentiti tanti commenti, ma,
a mio parere, ben poco o niente si è parlato del vero protagonista nascosto: le
merci. Sono stati discussi e proposti strumenti fiscali, economici, incentivi e
commerci per diminuire le modificazioni della composizione chimica dell’atmosfera
dovuta alle emissioni di “gas serra”, come anidride carbonica, metano, ossidi
di azoto, composti organici alogenati, eccetera, e ai cambiamenti dei terreni
agricoli e delle foreste. Si parla di circa 50 miliardi di tonnellate all’anno
di gas serra: una parte viene eliminata dall’atmosfera trascinata dalle piogge
nei mari; una parte contribuisce alla fotosintesi; una parte, circa 25 miliardi
di tonnellate ogni anno, va ad
aggiungersi ai circa 3000 miliardi di tonnellate di gas serra che già sono
presenti nei 5 milioni di miliardi di tonnellate di gas dell’atmosfera. Tenendo
conto del peso specifico dei vari gas, il volume dei gas serra nell’atmosfera aumenta
ogni anno di circa due volumi
ogni milione di volumi di gas totali (ppm in volume).
Tutti
parlano di aumento della temperatura terrestre, del pericolo di avanzata dei
deserti, di tempeste tropicali, di fusione dei ghiacciai, di aumento del
livello dei mari, tutti guai dovuti principalmente alla domanda di energia la
quale, a sua volta, dipende, direttamente o indirettamente dai combustibili
fossili. L’energia non è una cosa astratta, ma “serve” per produrre merci
(cemento o acciaio, grano o plastica, navi o telefoni mobili, eccetera) o
servizi (mobilità o sanità, o istruzione; c’è energia anche “dentro” i libri o
i banchi di scuola, eccetera). Per rallentare i cambiamenti climatici non è
possibile diminuire i gas serra che già sono nell’atmosfera; si può solo
aggiungerne di meno ogni anno
e per fare questo ogni anno bisogna usare meno energia fossile.
Molti
governanti cominciano ad essere spaventati dal fatto che i cambiamenti
climatici comportano dei costi, necessari per risarcire i proprietari della
case allagate, dei campi alluvionati, delle strade franate, e fanno arrabbiare
gli elettori, e da anni si incontrano, senza successo, per arzigogolare qualche
strumento fiscale o monetario o per incentivare qualche forma di energia che
emetta meno gas serra: solare, eolico, o anche (chi si vede ?) nucleare. Senza
contare che anche le macchine che producono elettricità o calore rinnovabili o
con la fissione nucleare, proposti come soluzioni “decarbonizzate”, l’orribile
neologismo, sono anche loro merci che, andando a ritroso nel ciclo produttivo
che le ha fabbricate, hanno richiesto fonti energetiche fossili. Dall’albero
della conoscenza non pendeva una mela ma pendevano barili di petrolio, sacchi
di carbone, bombole di metano.
Alcuni
paesi, e anche il nostro, stanno timidamente facendo qualche passo per cambiare
le attuali tecnologie e gli attuali prodotti, per ottenere automobili,
frigoriferi, plastica, dissalatori, centrali, abitazioni, che hanno richiesto o
richiedono meno energia nella fabbricazione o nel funzionamento, che consumano
un po’ meno energia per tonnellata di grano o per chilometro percorso o per
chilo di cibo conservato al freddo o per metro quadrato di spazio abitabile;
macchine o beni o servizi talvolta baldanzosamente pubblicizzati come “energia
zero”. Niente è possibile ottenere senza energia; la natura non da niente
gratis.
Altri
passi avanti potranno essere fatti, soprattutto se progrediranno i metodi,
ancora balbettanti, di corretta misurazione del “costo energetico”, cioè della
quantità di energia richiesta per unità di peso o di servizio, una operazione
che richiede il contributo della Merceologia, la scienza capace di descrivere i
flussi di materia e di energia e la qualità delle merci.
L’auspicabile
diminuzione del costo energetico delle merci è però neutralizzata dall’aumento
della loro quantità, imposto dalle regole della società dei consumi e del
profitto. Se i governanti avessero una sincera intenzione di rallentare gli effetti
disastrosi, e costosi, dei cambiamenti climatici dovrebbero avere il coraggio
di incoraggiare la diminuzione
dei consumi di merci --- e quindi di energia --- anche a costo di disturbare
gli interessi della maggior parte degli elettori, venditori di combustibili,
fabbricanti di merci, padroni e lavoratori e commercianti e gli stessi
“consumatori” intossicati dalla pubblicità, complici e vittime. Se i potenti
della Terra non hanno voglia di mettere in discussione il mondo dei soldi e
degli affari, si tengano le città allagate e i campi inariditi.
Perfettamente d'accodo da circa 30 anni a questa parte. Ma pare che per ridurre le emissioni ci tocchi aspettare che i consumi vengano ridotti dai meccanismi intrinseci all'ecosistema globale. Pare che ci siamo o quasi, ma penso sia ancora presto per dirlo con certezza.
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