Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it
Il pensiero marxista ha elaborato la teoria della lotta di
classe, intesa come contrapposizione di interessi fra gruppi di persone,
relativamente omogenee, appartenenti ad una ”classe”, appunto, per la conquista
di diritti che un’altra classe negava. La “classica” lotta di classe si è
svolta fra datori di lavoro e lavoratori nella società capitalistica. Il dovere
dell’imprenditore capitalistico, anche in quanto appartenente ad una ”classe”
di simili soggetti economici, era ed è l’aumento del proprio capitale
monetario; per raggiungere questo fine egli deve dipendere da altre persone, da
una “classe” di dipendenti ai quali “deve” essere pagato meno possibile la
merce che tale classe vende, il lavoro, che deve “pesare” il meno possibile sui
bilanci aziendali con richieste di sicurezza nel luogo di lavoro, di sicurezza
sociale, eccetera.
Successivamente il capitale, messi abbastanza quieti i
lavoratori nelle loro rivendicazioni salariali, ha scoperto che poteva
aumentare i propri profitti esercitando violenza non più tanto su un gruppo
omogeneo di persone --- come erano i diretti dipendenti --- ma su gruppi molto
più diffusi di soggetti impreparati e indifesi.
Le frodi, l’immissione in commercio di alimenti, tessuti,
merci, materiali, macchinari difettosi o dannosi perché poco costosi, si sono
rivelate preziose fonti di arricchimento. In definitiva le frodi arrecavano
danno alla salute o al salario o alla vita non di singole persone o di gruppi
di persone, ma di vasti strati della popolazione, ignari di quanto il capitale
gli offriva negli opulenti negozi.
Fortunatamente ci sono state persone che, raccogliendo
informazioni sull’operare degli imprenditori, talvolta notizie filtrate
attraverso i lavoratori stessi, hanno cominciato a denunciare le frodi, hanno
mobilitato l’opinione pubblica e hanno dato vita, attraverso scritti e
dibattiti, ad un movimento di cittadini e “consumatori” che assumevano un
carattere di “classe”, vittima dell’altra classe di venditori-frodatori.
La nuova classe dei frodati ha alzato la voce ed ha
chiesto leggi più rigorose sulla qualità dei prodotti commerciali, ha chiesto
l’intervento dello stato che ha (avrebbe) il dovere di proteggere le persone
danneggiate; i governi dei vari stati, peraltro, si sono spesso mostrati riluttanti
a interventi rigorosi, sotto la pressione della “classe” dei venditori che
cercava di minimizzare i pericoli e i danni denunciati.
Alcune delle merci pericolose, dai solventi cancerogeni,
ai pesticidi, ai metalli tossici, attraenti dal punto di vista dei profitti dei
produttori e dei venditori, oltre ad avvelenare gli umani alteravano anche gli
animali allo stato naturale, i cicli ecologici, inquinavano l’atmosfera e le
acque. Anche in questo caso alcuni (pochi) chimici, biologi, ecologi hanno denunciato
le sostanze dannose per una massa diffusa e indefinita di consumatori, una
nuova classe di ”inquinati” nel corpo e nell’ambiente circostante.
Intanto il capitale ha visto che era possibile assicurarsi
profitti sfruttando anche in altro modo il grande patrimonio senza padrone
della natura. Ogni processo di produzione genera delle scorie e dei rifiuti
gassosi, liquidi e solidi e quale miglior sistema per sbarazzarsene, senza
spesa, dell’immetterli nei corpi riceventi naturali, nell’aria, nei fiumi, nel
mare, sui terreni abbandonati ?. Fino a quando qualcuno ha cominciato a
denunciare le merci e i processi inquinanti, gli effetti vicini e lontani,
nello spazio e nel tempo, provocati da ciascun inquinatore e da tutti i membri
della sua classe e da coloro che, sempre nel nome del profitto, assaltavano a
fini speculativi i terreni, i boschi, le spiagge.
Sono così sorti gruppi, associazioni, movimenti impegnati
nella difesa dei cittadini frodati o inquinati, impegnati nella richiesta di
leggi più rigorose, impegnati, addirittura, nella denuncia degli effetti
perversi sulla salute e sull’ambiente della ”società dei consumi”, orchestrata,
grazie anche ad una sapiente propaganda, soltanto per il profitto dei
venditori. Per qualche tempo, nella breve “primavera dell’ecologia”, nei primi
anni settanta nel Novecento, c’è stata, almeno in alcuni movimenti, una
corretta analisi “di classe”, “di sinistra”, della contrapposizione fra
inquinatori e inquinati, ed è stato riconosciuto che i primi inquinavano e
danneggiavano la classe degli inquinati proprio perché agivano secondo le regole del capitalismo. Qualcuno allora
ricordò alcune pagine di Marx ed Engels in cui erano anticipati con grande
lucidità i problemi che caratterizzavano gli ultimi decenni del Novecento.
Da parte sua la classe degli inquinatori e degli
speculatori ha esercitato pressioni sui governi per evitare vincoli o divieti,
ha ridicolizzato la critica e la contestazione e, fatto abbastanza importante,
è riuscita talvolta a mobilitare i dipendenti agitando la minaccia che vincoli
e leggi più rigorosi contro le frodi, gli inquinamenti, la speculazione avrebbe
fatto perdere il posto di lavoro. Ciascuna azione richiesta dalla classe degli
inquinati per la difesa dei propri diritti, individuali e collettivi, avrebbe
comportato, sostenevano e sostengono gli inquinatori, maggiori costi di
produzione, minore convenienza a produrre e vendere, il licenziamento di parte
dei lavoratori. La classe degli inquinati era così, furbescamente, presentata
come nemica della classe operaia: e poco conta se i membri della stessa classe
operaia e le loro famiglie sono i destinatari delle merci dannose e dei danni
degli inquinamenti o delle alluvioni e frane provocate dalla speculazione.
Quella parte della contestazione che denunciava il
capitalismo come vera fonte dei danni alla salute e alla natura è stata
travolta dalla nuova ideologia che non c’è altro modo di produrre e di operare
--- anzi non c’è altro modo di esistere --- al di fuori di quello determinato
dal libero mercato e dal capitalismo, i quali possono essere corretti e
aggiustati non con una lotta di classe, ma con una collaborazione che rende gli
inquinatori meno violenti e gli inquinati più tolleranti, a condizione che si sia tutti uniti nel comune obiettivo di possedere
più merci e più ricchezza.
Abbastanza curiosamente, in questo sonno della ragione
dell’Europa e dell’Occidente, con virulenta diffusione anche nei paesi
“liberati” dal comunismo, una contestazione di sinistra dei guasti umani e
ecologici del capitalismo imperante continua a zampillare qua e là, spesso
sommersa, ma resa oggi più visibile grazie allo strumento più raffinato del
capitalismo, Internet. Del resto non erano stati gli strumenti più raffinati
del capitalismo, le grandi biblioteche pubbliche di Londra e Berlino, a rendere
accessibili ai padri del comunismo i testi su cui edificare la loro critica al
capitalismo stesso ?
Se da noi si muove con fatica qualcosa, diciamo così, di
rosso-verde, di contestazione di sinistra dei guasti consumistici ed ecologici,
la voce di una contestazione rosso-verde si trova vivace, nel Nord e nel Sud
del mondo, in molti movimenti “ecologici”, femministi, pacifisti, di difesa dei
consumatori e delle minoranze. Forse una ripresa della analisi dei rapporti
conflittuali fra capitalismo, socialismo e natura, potrebbe contribuire a far
conoscere i volti di questa nuova lotta di classe fra vittime e oppressori, nel
grande circo delle merci, fra inquinati e inquinatori, al fine di dare nuovo
coraggio e speranza agli inquinati e di temperare l’arroganza e anche
l’ignoranza degli inquinatori, i più recenti protagonisti del capitalismo
dominante.
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