Villaggio Globale, 13, (52), dicembre 2010; http://www.vglobale.it/index.php?option=com_content&view=article&id=12473%3Afacciamo-di-tutto-per-non-essere-riconoscenti&catid=1078%3Auna-scelta-per-la-sopravvivenza&Itemid=118&lang=it
Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it
Gaia: grande
e bellissima, ricca di acque, aria, terre emerse, boschi e fiumi, animali
selvaggi e altri costretti in gabbie per sfamare gli altri animali, gli umani.
Gaia gelosa custode di innumerevoli ricchezze sotterranee, di calore e di
idrocarburi, di carbone e di gas, di minerali e rocce. Fatti i conti, permette
di sfamare e soddisfare i bisogni di abitazioni, di cibo, acqua e felicità per
tanti umani e invece gli umani si combattono e si uccidono per le merci e i
territori, si affannano a sporcare i terreni, i fiumi e il mare e l’aria con i
loro rifiuti ed escrementi, a maltrattare, insomma, la povera Gaia.
La causa dei
conflitti sta nell’ineguale accesso alle ricchezze della Terra da parte dei
diversi popoli e delle diverse persone, con la conseguenza che chi cerca di
arraffare una maggiore porzione delle risorse della natura, nel nome della
maggiore ricchezza di un evanescente e irreale bene che è il denaro, finisce
per avere paura di non averne abbastanza e di esser depredato delle proprie
ricchezze da chi ne ha di meno.
Come ha
scritto un sapiente molti secoli fa, i paesi ricchi e i paesi poveri sono
entrambi affetti da malattie fisiologiche ed economiche che, passando da una
parte all'altra, rendono malato il grande, unico corpo della comunità umana. Le
malattie fisiologiche dei ricchi provengono da insoddisfazione, inquinamento,
necessità di rapinare le risorse naturali altrui (specialmente dei paesi
poveri) e di stare sempre in una situazione di pre-guerra per evitare che i
poveri si ribellino. Le malattie fisiologiche dei poveri derivano dalla
scarsità di cibo, acqua, energia, da abitazioni malsane, analfabetismo,
sovrappopolazione. Da qui un senso di ribellione e la ricerca di una cura nella
conquista, anche violenta, dell'indipendenza e della giustizia.
Gli ultimi
sessant’anni, dopo la grande c carneficina della seconda guerramondiale del
1939-45, sono stati solo apparentemente anni di pace: centinaia di conflitti
sono esplosi nei paesi poveri, spesso alimentati da quelli ricchi, interessati
a continuarne lo sfruttamento e a vendere loro armi. Si calcola che le morti
per conflitti ammontino, nell’ultimo mezzo secolo, a molte decine di milioni di
persone, più o meno quante quelle della seconda guerra mondiale. La situazione
peggiorerà sempre fino a quando le classi dominanti dei paesi ricchi non si
accorgeranno che la cura delle malattie dei poveri è essenziale anche per
guarire le proprie.
Ma i paesi
ricchi possono guarire soltanto con una cura dolorosa e traumatica che
richiederà la revisione radicale dei modi di produzione e di consumo, degli
stili di vita, del comportamento nei confronti delle risorse naturali e
ambientali della comune casa Gaia. Il cambiamento deve per forza passare
attraverso nuovi criteri di giustizia nell'uso delle risorse naturali e tali
criteri debbono sottostare a un principio irrinunciabile di giustizia
planetaria.
L'ecologia
ha dato un contributo straordinario alla comprensione del principio di
solidarietà planetaria. Dopo la seconda guerra mondiale si diffuse il movimento
di contestazione contro le esplosioni delle bombe nucleari nell'atmosfera. Esso
nacque da nuove conoscenze scientifiche e dalla constatazione che gli agenti
inquinanti e gli atomi radioattivi (che si formavano durante le esplosioni
sperimentali nucleari) si diffondevano e circolavano nei due emisferi, senza
alcun riguardo per i fittizi e arbitrari confini degli stati.
Negli anni
successivi si diffuse la contestazione ecologica contro i pesticidi non
degradabili. Essa dimostrò che alcuni paesi riuscivano a liberarsi dei
parassiti delle loro colture, mettendo in circolazione sostanze tossiche che
compromettevano la sopravvivenza di molte specie viventi dalle quali dipende la
sopravvivenza della stessa specie umana. Nel 1966 è stato introdotto il
concetto di considerare la terra come una navicella spaziale: "Spaceship
Earth". Ci si è resi conto che questo nostro pianeta è l'unica casa che
abbiamo: una casa comune a tutti. Le nostre risorse possono essere tratte tutte
e soltanto da questa navicella spaziale e tutte le scorie e i sottoprodotti e i
rifiuti restano dentro il pianeta Terra. Non ci si può illudere di prendere
risorse da altri corpi celesti o di smaltire i nostri rifiuti negli spazi
interplanetari.
Dagli anni
Sessanta del Novecento, a poco a poco, è cresciuta la consapevolezza che
qualcosa andava cambiato, anche se tale voce non è stata ascoltata o accolta
dalla cultura e dalla presunta "saggezza" delle classi dominanti. Da
allora è passato quasi mezzo secolo, ma ben poco è cambiato nell'economia e
nella tecnica adottate nei paesi industrializzati. Eppure in questo periodo ci
sono stati continui segni premonitori, si sono sentiti tuoni che annunciavano
la tempesta e invitavano al cambiamento.
Fin dagli
anni Settanta del Novecento sono stati riconosciuti i rapporti diretti fra
giustizia, risorse naturali, sviluppo e pace, la necessità di un "nuovo
ordine economico internazionale". Tali rapporti dovevano essere regolati
non dalla logica, dall'egoismo e dalla "saggezza" dei singoli
governi, ma considerando l'intera terra come una unica casa. Gli ultimi tre
decenni del XX e il primo di questo secolo XXI sono stati contrassegnati da
tensioni e guerre locali, direttamente o indirettamente legate alla conquista
di materie prime energetiche, minerarie, alimentari. Molti paesi ex-poveri,
vendendo le proprie materie prime e la mano d'opera, quasi schiava, stanno
guarendo lentamente da alcune malattie, ma allo stesso tempo vengono presto
contagiati dalle patologie dei ricchi. Diventano cioè nuovi strumenti di
oppressione per altri popoli o per le proprie minoranze interne, assumendo
ambizioni di piccole potenze dotate di armi nucleari, con i paesi industriali che
cercano di esportare verso di loro armi, in primo luogo, e poi tecnologie e
impianti in cerca di facili profitti.
Il mondo dei
paesi poveri-poveri (che non hanno niente da vendere e che non possono comprare
tecniche e strumenti neanche per valorizzare le loro risorse interne), è
afflitto da alti tassi di aumento della popolazione ed è destinato ad andare
alla deriva, con 1000 milioni di abitanti esposti alla fame e alle malattie,
dipendenti da aiuti mai disinteressati, travagliati da tensioni sociali e
politiche interne.
A tutto ciò
si sono aggiunti i problemi derivanti dal crollo del "comunismo".
Esso ha portato centinaia di milioni di persone a vivere secondo le regole del
libero mercato, del capitalismo, del "di più", della conquista dei
consumi attraverso una competizione sempre più violenta e corruttrice.
Eppure
comincia a farsi strada la consapevolezza che avere di più significa lasciare
di meno agli altri popoli. Le due grandi leggi fisiche, quella della
conservazione della massa e dell'energia e quella dell'entropia, indicano che
più si sfrutta la natura, illudendosi di diventare più ricchi, più, invece, si
distrugge ricchezza e si diventa poveri. Estraendo più risorse dal pianeta,
restano meno riserve per il futuro e tutto l'insieme risulta degradato da
scorie e perdente, con condizioni sempre meno sostenibili.
Da una parte
è "doveroso" avere di più, un dovere implicito nel criterio che il
prodotto interno lordo di un paese "deve" sempre crescere di un tanto
per cento all'anno ed è osceno, peccaminoso, se l'obiettivo della
"crescita" non viene raggiunto. Dall'altra parte le leggi della
natura indicano che una crescita dei consumi e del reddito pro-capite è una
perdita netta per l'insieme del pianeta, proporzionale alla percentuale della
crescita monetaria, aumentata dalla perdita dovuta alla dissipazione e alla
degradazione dell'energia e dei materiali, all'inquinamento e alla perdita di
risorse vegetali, minerarie, animali, alla perdita di naturalità degli stessi
esseri umani.
Il libro,
apparso nel 1972, su "I limiti alla crescita" (malamente tradotto con
il titolo di "I limiti dello sviluppo") diceva delle verità
fisicamente e biologicamente non contestabili. C'è una incompatibilità fisica
fra la quantità delle risorse naturali disponibili sulla Terra e l'aumento
della popolazione, fra la continuazione degli attuali stili di vita seguiti dai
paesi ricchi e l'aspirazione di quelli poveri a raggiungere gli stessi livelli
di consumi e di sprechi.
Oggi (inizi
2011) la popolazione della terra è di circa 7.000 milioni di persone e aumenta
in ragione di circa 70 milioni all'anno e tale aumento continuerà ancora per
parecchi decenni. La popolazione cresce soprattutto nei paesi poveri ed è
questa una nuova faccia delle malattie dei ricchi e delle malattie dei poveri.
Nei paesi ricchi si verifica un rapido invecchiamento della popolazione. I
governi sono incapaci di dare agli anziani abitazioni adeguate, servizi,
possibilità di trovare una ragione di vita dignitosa. Nei paesi poveri
l'aumento della popolazione comporta gravissimi problemi di crescenti richieste
di servizi, abitazioni, alimenti, acqua, posti di lavoro, che spesso non
possono essere forniti: da qui una pressione verso i paesi ricchi, una tendenza
ad emigrare verso nazioni che li respingono o dove la loro presenza da una
parte è necessaria per i lavori più umili, dall'altra crea nuove tensioni
sociali.
Alle
richieste dei paesi sottosviluppati, i paesi ricchi rispondono trasferendo ed
esportando il loro modo di vivere, consumare, inquinare. Così anche nei paesi
poveri si fanno più stridenti le diversità fra ceti ricchi e ceti poveri:
accanto alle vecchie e povere città, nei paesi sottosviluppati esplodono le
megalopoli in cui ancora più violenta è la diversità fra le condizioni di vita
degli uni e degli altri. Nell'ambito di ciascun paese sottosviluppato si
formano nuove classi di ricchi, violenti e oppressori nei confronti delle
classi povere. Da qui tensioni, violenze, terrorismo, evasione nella droga.
Una cura
delle malattie dei ricchi e dei poveri può essere cercata nella giustizia
nell'uso dei beni naturali, considerati patrimonio comune. Ma questa giustizia
si può realizzare soltanto con una profonda rivoluzione. L'essere ricchi in un
mondo di risorse scarse si traduce nell'"essere" di meno:
apparentemente cresce la quantità di merci disponibili e possedute, ma in
realtà diminuisce la qualità dell'esistenza, la capacità di condurre una vita
umana. Senza dimenticare che essere "più" ricchi significa quasi
sempre impoverire altri lasciando loro meno risorse.
Emergono
così nuove forme di furto, che non sono contemplate in nessuno dei codici delle
società "sagge": è un furto portare via ai paesi sottosviluppati i
mezzi con cui essi potrebbero fare qualche passo verso lo sviluppo. La nostra
ricchezza li condanna così al perpetuarsi della povertà e li spinge a
ristabilire con la violenza una qualche forma di giustizia. E’ un delitto
sporcare con i rifiuti e le scorie dei nostri consumi e sprechi un patrimonio
comune di acque, aria, mare, per il cui degrado i poveri sono condannati a
soffrire di più.
Proprio nel
momento in cui viene cancellato qualsiasi segno delle vecchie categorie della
solidarietà, del comunismo, dell'internazionalismo, nel nome del profitto e del
libero mercato, appare sempre più chiaro che la cura delle malattie dei ricchi
e dei poveri può venire soltanto dalla constatazione del fallimento
dell'economia tradizionale. Bisogna rifondare e inventare una nuova economia
politica basata su nuovi indicatori, una economia morale che butti a mare i
vecchi indicatori della crescita misurata in unità monetarie, la credenza che
la virtù consiste nel far crescere il prodotto interno lordo.
Si tratta di
affrontare problemi per i quali siamo completamente impreparati. Bisogna
interrogarsi sui bisogni, sulle merci necessarie per soddisfare tali bisogni,
sulle risorse e sugli inquinamenti associati a tali merci. Bisogna inventare
indicatori di "benessere" tali che l'obiettivo non sia più rendere
massima la quantità dei soldi che entrano in circolazione, ma rendere minimi
l'impoverimento della terra e le sofferenze altrui.
Il discorso
sulla giustizia planetaria diventa sempre più urgente: ormai non solo stiamo
impoverendo i paesi poveri e sottosviluppati, portando via le loro risorse
naturali a basso prezzo, ma stiamo esportando in essi nocività ambientali, per
esempio sotto forma di rifiuti inquinanti o sostanze tossiche. Ormai si sta
sviluppando un'esportazione di prodotti e rifiuti tossici e radioattivi --- un
commercio osceno --- verso alcuni paesi sottosviluppati che, per soldi, si
offrono di riceverli nel loro territorio, di seppellire, per esempio, a
pagamento, i rifiuti radioattivi che non si riesce a sistemare nell'Assia o nel
Texas o in Basilicata. Ed è spaventoso che nessuno si scandalizzi. Per non
parlare dell'oscenità della produzione di armi e della loro esportazione verso
i paesi sottosviluppati per alimentare nuove guerriglie fra poveri, sempre nel
nome del profitto. Con l'aggiunta di nuove esportazioni clandestine di
materiali nucleari.
La salvezza
va cercata in un cambiamento della nostra posizione nei confronti della
violenza che facciamo alla natura, cominciando con lo sradicare la convinzione
che gli esseri umani sono destinati a dominare e sottomettere la natura. Ne
deriva un rovesciamento delle stesse leggi che regolano i rapporti con gli
altri esseri umani, con il "prossimo". Oltre ad un prossimo vicino
che non dobbiamo derubare e uccidere, va considerato un prossimo a cui si
infligge violenza, ad esempio con i gas di scappamento dell'automobile.
C'è poi un
prossimo lontano, ma a cui ciascuno di noi è legato da rapporti di uso e
sfruttamento di risorse naturali e di inquinamento. C'è, infine, un prossimo
lontano nel tempo, un "prossimo del futuro". Quello che avrà a che
fare con i residui delle centrali e delle bombe nucleari che restano
radioattivi per millenni, che erediterà queste scorie a causa della nostra
miopia e imprevidenza, che soffrirà per l'erosione del suolo provocata dalla
speculazione edilizia e agricola della nostra generazione, che sarà allagata
dalle conseguenze dei mutamenti climatici provocati dai nostri consumi
energetici inutili e folli.
La
diffusione della cultura e della consapevolezza della insostenibilità
dell’attuale società può essere un'occasione per metterne in discussione le
fondamenta stesse, violente ed egoistiche. E per cercare nuovi modelli di
rapporti produttivi e di rapporti internazionali, governati dalla soggezione
alle uniche leggi che non si possono violare, quelle della natura. La
realizzazione di una società meno insostenibile può essere una straordinaria
occasione per cercare nuovi valori di solidarietà e di giustizia.
La
realizzazione di questi ideali non sarà indolore: si avranno conflitti che
potranno vedere contrapposte non solo le classi subalterne dei paesi ricchi e
poveri alle rispettive classi dominanti, ma i paesi poveri ai paesi ricchi, gli
inquinati agli inquinatori, con nuove contraddizioni. Nei paesi ricchi e
inquinatori le classi subalterne potranno forse partecipare all'oppressione
delle classi subalterne dei paesi poveri e inquinati. Emergono così, se volete,
nuovi volti della lotta di classe, che vede contrapposti sfruttatori delle
risorse naturali altrui e sfruttati, inquinatori e inquinati, che viene
soffocata con operazioni di polizia o di guerra.
Se non
impariamo, di buona o cattiva voglia, a rispettarla, Gaia, nostra unica casa
nello spazio, si arrabbia e quello che lei ci da non c’è nessun altro posto in
cui procurarcelo.
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