La Gazzetta del Mezzogiorno, 25 febbraio 2014
Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it
“Tua per sempre”. E’ il messaggio che ci arriva da ciascuna
delle conseguenze negative, durature, di tante violenze ambientali cui sono
esposte la nostra, e molte future generazioni. Molti anni fa negli Stati Uniti
un gruppo di studiosi pubblicò un libro intitolato: ”Il ruolo dell’uomo nel
cambiare la faccia della Terra”, una storia delle modificazioni a lungo termine
provocate dalle attività umane sulla natura, e quindi sulla salute e sul
benessere umano. Diecimila anni fa gran parte della superficie del pianeta era
coperta da foreste; i nostri antenati hanno imparato presto a trarre dal bosco
legna per scaldarsi o per ricavare metalli dai minerali, per costruire solidi
edifici o navi con cui solcare i mari e estendere i commerci.
L’impoverimento delle risorse forestali è stato tuttavia
lento; ancora nel Medioevo era possibile andare da Roma a Parigi senza uscire
mai dalle foreste; Federico II poteva andare a caccia nei boschi della Puglia.
L’industrializzazione e l’aumento della popolazione e dei bisogni materiali
hanno accelerato la distruzione di crescenti superfici dei boschi per
conquistare campi coltivabili e per costruire grandi città; spazi di suolo
sempre più grandi sono rimasti nudi, esposti alle piogge e all’erosione. Queste
azioni sono la causa delle frane e alluvioni e dei relativi costi e dolori
della nostra e delle future generazioni, eredità lasciataci da centinaia di
generazioni del passato.
Peraltro non possiamo prendercela con i nostri predecessori
perché (eccetto pochi filosofi o naturalisti inascoltati) non potevano
prevedere la violenza a cui avrebbero condannato noi. Noi invece oggi sappiamo
bene che molte nostre azioni avranno effetti negativi duraturi su quelli che
verranno in futuro, eppure non smettiamo di compierle e anzi di aggravarle. Un
breve elenco di queste violenze è contenuto in un recente numero della rivista
“Resources”. Intanto continuiamo anche noi nella distruzione delle foreste per
accedere ai preziosi minerali nascosti nel loro sottosuolo, o per avere spazi
liberi da coltivare con una agricoltura intensiva, pur sapendo che questo modo
di produrre piante economiche alimentari, o destinate alla trasformazione in
carburanti “biologici”, provoca altre alluvioni, e sapendo che molti dei
terreni strappati alle foreste, dopo poco tempo, diventano inadatti alla
coltivazione di qualsiasi cosa da parte nostra e di chi verrà dopo di noi.
Altre modificazioni, durature nel futuro, della Terra sono
provocate dall’inquinamento dell’atmosfera, dovuto al consumo di combustibili
fossili e a molti processi industriali e responsabile del lento inarrestabile
riscaldamento globale; è questa la causa delle improvvise tempeste, dei periodi
di freddi intensi, dell’avanzata dei deserti e di mesi di siccità, spesso nelle
stesse zone che poco prima erano state afflitte da devastanti piogge. I
governanti dei vari paesi del mondo si affannano nel proporre di rallentare
tale inquinamento, cioè di inquinare ogni anno un po’ meno dell’anno
precedente, facendo finta di dimenticare che i disastri climatici sono dovuti
alla continua aggiunta di nuove masse di gas a quelli ormai esistenti e
permanenti per secoli futuri.
Altri effetti e pericoli duraturi sono dovuti ai rifiuti
solidi e liquidi che vengono immessi nell’ambiente; ci si scandalizza,
giustamente, per quelli che bruciano all’aria aperta, ma si dimentica che
altrettanto grave e inarrestabile è il danno potenziale anche di tutti i
rifiuti che sono sepolti nel sottosuolo in innumerevoli luoghi sconosciuti, in
Italia e in tutti i paesi; gli agenti chimici presenti, di cui nessuno conosce
natura o composizione o quantità, lentamente si disperdono nelle acque sotterranee
e finiscono nei fiumi e nelle falde idriche che forniscono acqua per
l’irrigazione e per le città. Anche in questo caso i governi, dopo breve
indignazione, propongono bonifiche che non vengono portate a termine, o neanche
avviate, sia perché costano, sia perché richiederebbero analisi e trattamenti a
cui le Università e le industrie sono impreparati. Si pensi soltanto che la
mortale “diossina”, oggi sulla bocca di tutti benché presente da secoli
nell’ambiente, quarant’anni fa era quasi sconosciuta.
E fra i rifiuti una posizione specialissima, per i duraturi
pericoli e danni futuri, hanno quelli radioattivi, i residui delle attività di
preparazione dell’uranio e del plutonio impiegati nelle bombe nucleari e nelle
centrali nucleari commerciali. Le oltre quattrocento centrali nucleari che nel
mondo ogni anno producono 2600 miliardi di chilowattore, il 12 %
dell’elettricità totale, generano ogni anno come sottoprodotti centinaia di
migliaia di tonnellate di elementi, radioattivi per secoli, che lasciamo come
eredità a centinaia di future generazioni. Senza contare che sulle nostre teste
il cielo è affollato da “spazzatura” costituita da pezzi dei satelliti
artificiali che non funzionano più, e che spazzatura spaziale eterna, fino a
quando non ci cascherà sulla testa, diventeranno in pochi decenni le migliaia
di satelliti che oggi ci rendono felici con le trasmissioni televisive, o i
collegamenti telefonici, o ci spiano anche quando andiamo a fare la spesa.
Voi direte che questo è il progresso, ma si potrà ben
pensare un “progresso”, una “civiltà”, meno violenti per coloro che verranno.
Se esiste (si fa per dire) una etica che impone rispetto del prossimo, vicino e
contemporaneo, non sarà il caso di elaborare una etica che induca a rispettare
il “prossimo del futuro” ?
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