Culture della sostenibilità, 9, (18), 14-20 (II semestre 2016)
Tutte
le manifestazioni della vita comportano scambi, “commerci”, di materia e di
energia; i vegetali “comprano” (senza pagare niente) anidride carbonica
dall’aria, acqua e azoto dall’aria e dal suolo, e “fabbricano” le molecole di
amidi, cellulose, lignine, grassi, proteine, generando, come rifiuti, ossigeno
e le spoglie delle foglie e dei tronchi e delle radici. Non a caso i biologi
del secolo scorso hanno chiamato i vegetali organismi “produttori”, prendendo a
prestito un termine dalle manifatture. Gli animali “comprano” ossigeno e acqua
e vegetali (o eventualmente altri animali), fabbricano le molecole del proprio
corpo e generano come rifiuti anidride carbonica, vapore acqueo, metano, ammoniaca,
gas che tornano nell'atmosfera, ed escrementi, tanto che i biologi li hanno
giustamente chiamati organismi “consumatori”, prendendo a prestito, anche qui,
un termine dal linguaggio dei commerci. Infine gli organismi decompositori
riciclano le scorie organiche esistenti nel terreno o nelle acque e rigenerano
e rimettono in circolazione anidride carbonica, acqua, azoto, eccetera.
La
biosfera ha funzionato e funziona attraverso cicli di scambi di materia e di
energia che sono sostanzialmente "chiusi": tutto ciò che viene
estratto ritorna in ciclo. Tutta questa frenetica circolazione di materia e di
energia --- fra produttori, consumatori, decompositori --- e questi rapporti,
non privi di dolore, sono finalizzati alla propagazione della vita, che, nella
biosfera, è l'unica cosa che conta.
Nella
natura non esiste la categoria dei rifiuti e forse neanche quella della morte
perché in qualsiasi punto del grande ciclo ogni molecola contribuisce alla
prosecuzione della vita.
Le
cose sono andate avanti con questi cicli, per migliaia di secoli, attraverso
profonde modificazioni della superficie del pianeta, attraverso mutamenti
climatici, fino a 200 o 100 mila anni fa, quando sulla superficie della Terra è
comparso un animale consumatore speciale appartenente alla specie Homo
sapiens, capace di utilizzare, grazie alla posizione eretta, le zampe
anteriori per toccare meglio il mondo circostante, capace di aumentare le
proprie conoscenze e di trasmettere le nuove esperienze ad altri esseri umani.
Per
moltissimi millenni gli esseri umani si sono comportati in maniera non molto
diversa dagli altri animali e sono vissuti nutrendosi di bacche e semi e frutti
e radici raccolti dai vegetali, cacciando gli animali proprio come facevano i
predatori meno evoluti. Queste piccole comunità di raccoglitori-cacciatori sono
andate muovendosi attraverso i continenti, nelle foreste, nelle paludi e nelle
savane, alla ricerca di cibo e di condizioni favorevoli di vita, ricoverandosi
nelle grotte per proteggersi dal caldo e dal freddo, con continui lenti
progressi, ma senza modificare in maniera apprezzabile il mondo circostante.
La
prima grande rivoluzione si è avuta circa diecimila anni fa quando qualche
nostro lontano progenitore ha scoperto che alcuni semi e piante potevano essere
coltivati e che alcuni animali potevano essere catturati e fatti crescere e
riprodurre in spazi limitati.
Questi
nostri antenati, divenuti coltivatori-allevatori, potevano ottenere il cibo
senza dover vagare per gli spazi e rincorrere le prede e avevano così più tempo
per dedicarsi all'osservazione del mondo circostante e per scambiarsi le
esperienze.
La
transizione del Neolitico, all’inizio dell’Olocene, ha avuto molte conseguenze
importanti: innanzitutto ha generato il concetto di proprietà. La terra
coltivata e gli animali perdevano il carattere di beni comuni, ma venivano ad
"appartenere" ad una comunità, o ad alcuni membri della comunità, e
da tale proprietà erano esclusi gli altri membri della comunità e gli abitanti
delle terre vicine.
Da
questo momento gli scambi di materia ed energia, gratuiti nella natura, sono
stati regolati da una nuova entità, lo scambio in forma di materia o di lavoro
e, poco dopo, in forma di denaro.
I
grandi cicli della biosfera offrivano gran parte dei beni essenziali per la
vita degli umani: i vegetali, la carne richiesti come alimenti, il legno come materiale
da costruzione o fonte di energia, le pietre per le costruzioni.
I
nostri antenati hanno così cominciato a costruire ricoveri o abitazioni
duraturi e per questo hanno imparato a tagliare gli alberi, e poi che certe
pietre, per riscaldamento, potevano essere trasformate in materiali duri, i
metalli, molto più adatti delle pietre per tagliare gli alberi, per uccidere
gli animali, per aprire nuove cave o miniere.
Queste
operazioni modificavano, in modo spesso irreversibile, i territori naturali da
cui venivano estratte le pietre o tagliati gli alberi, immettevano nell'aria
gas e fumi irritanti e generavano scorie che gli organismi decompositori
naturali non erano in grado di trasformare e rimettere in ciclo come materia
utile.
Ben
presto le attività umane si sono scontrate con dei limiti fisici, l’esaurimento
di alcune cave e soprattutto la diminuzione della fertilità di alcuni suoli
agricoli in seguito alle coltivazioni. Per far fronte a quest’ultimo
inconveniente gli Ebrei avevano imposto per legge “divina” (ne parla il
capitolo 25 del libro biblico del Levitico) la sospensione periodica delle
coltivazioni per “far riposare” le terre coltivabili.
Altre
società agricole avevano capito che, alternando le coltivazioni di cereali con
quelle delle leguminose (molti millenni dopo si sarebbe capito che la loro utilità
è dovuta alla capacità di fissare l’azoto atmosferico), si poteva in parte
restituire al terreno “qualcosa” (l'azoto) che i cereali asportano nella loro
crescita.
Certi
beni o materie o oggetti utili e importanti però si trovavano in alcuni luoghi
e non in altri; qualche membro di ciascuna comunità, più coraggioso, o
intraprendente, il mercante, deve essersi messo in viaggio per cercare nei
villaggi e nelle terre vicine o lontane il sale, e poi i metalli e altri tipi
di cibo.
Spesso
i paesi che avevano in abbondanza qualche materia ricercata o rara sono
diventati ricchi e forse esosi, al punto da suscitare l'odio o la gelosia dei
paesi vicini che hanno cercato di conquistarli con la forza.
Le
attività mercantili hanno portato da una parte alle guerre imperialistiche,
dall'altra parte all'accumulazione di ricchezza e ad una maggiore richiesta di
beni materiali --- cibo, spezie, tessuti, edifici, vasellami, armi, e poi merci
di lusso per i ricchi --- con un crescente aggressivo intervento sull’ambiente
e dilatazione della tecnosfera, l'universo degli oggetti portati via dalla
natura e immobilizzati nel mondo degli umani.
Dopo
millenni di lenta evoluzione di questi processi, una importante svolta verso la
modificazione dell’ambiente si è avuta intorno al Cinquecento con i perfezionamenti
della tecnologia dei metalli e con la conquista dei nuovi continenti che hanno
messo a disposizione nuove riserve e specie di minerali, di alimenti, di merci.
La disponibilità di questi nuovi beni materiali ha contribuito sia a stimolare
la curiosità scientifica e la conoscenza della loro composizione e utilità, sia
ad aumentare il desiderio di possesso di nuove merci dapprima da parte delle
classi dominanti e poi progressivamente da parte della nascente borghesia.
In
questo modo l’assalto alla natura è stato incentivato e anzi legalizzato da una
ideologia che identifica il "progresso" nell'aumento del possesso
delle merci e dei beni materiali.
L’ulteriore
accelerazione della modificazione della natura da parte degli esseri umani si è
avuta nel Settecento con due invenzioni, quella della produzione dell’acido solforico
con le camere di piombo da parte di Roebuck nel 1749 e quella della macchina a
vapore da parte di Watt nel 1784. Non a caso Crutzen e Stoemer, nel loro articolo
del 2000, hanno suggerito che l’antropocene inizia a partire da questa seconda
invenzione, pur riconoscendo che, a rigore, l’era degli effetti modificatori
della Natura da parte dell’uomo possa comprendere addirittura l’intero Olocene.
Da
questo momento in avanti tutta la storia umana è stata caratterizzata dal “di
più”, dalla frenesia della crescita dei beni materiali con una reazione a
catena.
Più
macchine che alleviavano la fatica del lavoro umano richiedevano sia più ferro
sia più carbone. Più ferro poteva essere prodotto scaldando ad alta temperatura
in uno speciale “altoforno” il minerale di ferro con il carbone fossile anziché
con il carbone di legna, usato in precedenza, col vantaggio di diminuire il
taglio dei boschi.
L’estrazione
del carbone dal sottosuolo richiedeva più macchine e più pompe per svuotare i pozzi
dalle acque, e quindi più e migliore ferro. La produzione del ferro riusciva
meglio se si usava (dal 1710), invece del carbone tale e quale, un carbone più
duro e resistente che si otteneva dal carbone fossile per riscaldamento ad alta
temperatura.
Questo
processo di “distillazione secca”, di cokizzazione, del carbone dava luogo alla
formazione di grandi quantità di sottoprodotti gassosi, liquidi e solidi, dapprima
buttati via nell’aria o nel suolo, poi riconosciuti adatti a molte cose utili.
Il
gas si prestava bene come fonte di illuminazione (dal 1810) dapprima delle
strade, poi delle fabbriche, il che consentiva di allungare la giornata lavorativa,
poi degli edifici e delle abitazioni, il che significava la possibilità di
leggere più comodamente e a lungo, e di informarsi e stimolava le curiosità e
nuove invenzioni.
Il
catrame che residuava durante la distillazione secca del carbone si prestava a
conservare meglio il legno (dal 1805) come quello delle traversine ferroviarie;
le traversine e le rotaie di ferro e la macchina a vapore applicata alle
locomotive (dal 1830) consentivano di spostare persone e merci, alla ricerca di
altre e maggiori quantità di materie.
La
diffusione delle ferrovie nel Nord America ha consentito la conquista delle
vaste e “libere” terre dell’ovest e ha contribuito alla trasformazione delle estese
praterie americane in terre coltivate e miniere, dopo essere state “sgombrate”
dagli “inutili” bisonti e nativi, uno dei più grandi sconvolgimenti ecologici
dell’Ottocento.
Tutti
questi progressi avevano provocato una crescente richiesta di acciaio, resa
possibile con l’invenzione di nuovi processi per trasformare la ghisa, prodotta
dall’altoforno, in acciaio (1860), e di altri processi ancora (1861-1865) adesso
in grado di trasformare in acciaio sia la ghisa sia i rottami di ferro che nel
frattempo si stavano accumulando dalle macchine fuori uso.
Altri
sottoprodotti della cokizzazione del carbone, come il solfato di ammonio, si
rivelarono adatti come concimi che facevano aumentare le rese agricole, come
indicavano le nuove scoperte della chimica (1840-1850).
Più
prodotti agricoli, più carne offerta dalle nuove terre americane e trasportata
in Europa con navi frigorifere (dal 1877), consentirono un miglioramento delle
condizioni e della durata della vita, con conseguente aumento della popolazione
anche delle classi meno abbienti.
Un
aumento della popolazione significava una maggiore richiesta di filati e
tessuti che potevano essere prodotti a sempre minore costo grazie all’applicazione
delle macchine alle operazioni di filatura (1785) e tessitura (1800).
Maggiori
quantità di tessuti richiedevano maggiori quantità di detergenti e di
sbiancanti che vennero offerte dalle scoperte della produzione della soda
(1800) per trattamento del sale con acido solforico.
Una
maggiore richiesta di acido solforico comportò un più intenso sfruttamento
delle miniere siciliane di zolfo (dal 1820), delle miniere spagnole di piriti (dal
1835) e maggiore produzione di fumi tossici che si liberavano nell’aria dalle fabbriche
chimiche. Da alcuni sottoprodotti inquinanti i chimici riuscirono a ottenere altre
merci utili come il cloro (dal 1870) usato come sbiancante delle fibre tessili
e come disinfettante delle acque e delle fognature, altro strumento di miglioramento
della salute; da altri sottoprodotti della fabbricazione della soda venne
recuperato (1882) lo zolfo.
La
disponibilità di maggiori quantità di acido solforico spinse anche a trattare le
ossa o alcune rocce e minerali (1845) per ricavarne concimi fosfatici, anch’essi
utili per aumentare le rese agricole.
Maggiori
quantità di tessuti significava maggiore richiesta di coloranti che, al posto
dei pochi coloranti vegetali fino allora disponibili, potevano essere ottenuti
sinteticamente (dal 1856 in avanti) da alcuni altri sottoprodotti della distillazione
secca del carbone.
Quei
sottoprodotti che potevano essere trasformati in esplosivi (metà
dell’Ottocento) mediante impiego di acido nitrico.
La
richiesta di acido nitrico comportò una crescente pressione (dal 1830) sulle allora
uniche riserve di nitrati disponibili nei giacimenti dell’altopiano cileno e
boliviano, ma anche una ricerca di processi per ottenere i nitrati artificialmente,
un problema risolto alla fine dell’Ottocento.
Maggiori
quantità di acido solforico, di nitrati e di sottoprodotti della distillazione
secca del carbone consentivano la preparazione di più “efficaci” esplosivi, la
nitrocellulosa (1843), la nitroglicerina (1847), il tritolo (1853), molto “utili”
nelle continue guerre che hanno dilaniato tutto l’Ottocento.
La
produzione di merci, l’estrazione di risorse naturali e l’inquinamento sono
stati ulteriormente accelerati dalla scoperta, dal 1859 in avanti, di grandi
quantità di petrolio del Nord America.
La
scoperta della raffinazione del petrolio in frazioni di diversa densità e
utilità (dal 1860), ha messo a disposizione cherosene adatto per le lampade da
illuminazione mobili, al posto degli oli vegetali e del grasso di balena, e carburanti
adatti a nuovi motori che potevano sostituire le macchine alimentate da
carbone.
Le
scoperte dei motori a combustione interna, dal 1860 in avanti, hanno fatto
crescere la richiesta di prodotti petroliferi e hanno consentito la costruzione
di nuovi veicoli leggeri che si muovevano da soli, senza rotaie, liberamente
sulle strade.
Più
strade richiedevano anche trattamenti di impermeabilizzazione realizzabili col
catrame derivato dalla distillazione secca del carbone (1902) e poi dai residui
della distillazione del petrolio.
Questa
lunga serie di progressi tecnici e merceologici del XIX secolo ha determinato
un aumento della popolazione mondiale --- di lavoratori e di consumatori --- che
è passata da 950 milioni nel 1800 a 1600 milioni nel 1900.
Le
azioni di modificazione della natura da parte dell’uomo hanno avuto
un’ulteriore accelerazione nel corso del ventesimo secolo. Il Novecento si apriva
con altre scoperte rivoluzionarie: quella della radioattività, nei primi anni del
secolo, che apriva le porte alla conoscenza di modificazioni della parte atomica,
la più intima della materia; e quella della sintesi dell’ammoniaca (1910) dall’azoto
dell’aria; era così possibile ottenere concimi azotati per la popolazione mondiale
crescente e sintetizzare dall’ammoniaca acido nitrico, la base per più moderni
esplosivi subito richiesti dalla prima guerra mondiale (1914-1919).
Una
guerra durante la quale sono stati collaudati migliori motori a scoppio che rendevano
possibili nuovi veicoli come l’aeroplano e migliori automobili.
Negli
anni venti del Novecento si è avuta una nuova espansione e accelerazione dei
consumi e delle attività estrattive, minerarie, agricole e industriali, con la costruzione
di strade, grandi città, e con l’espansione dei commerci.
La
pausa consumistica della grande crisi economica mondiale del 1929-1935 è stata
seguita dalla seconda guerra mondiale (1939-1945), l’avventura imperialista
della Germania e del Giappone per la conquista di materie prime naturali,
minerali, petrolio, gomma; il grande conflitto praticamente planetario ha visto
una accelerazione della richiesta di acciaio, alluminio, macchine, esplosivi,
accompagnata dalla distruzione di vite umane e di beni materiali.
La
seconda guerra mondiale finisce nel 1945 con la comparsa dell’energia atomica, impiegata
nella costruzione di bombe devastanti come nessuna arma precedente e in grado
di immettere nell’ambiente, anche quando usata per produrre elettricità atomi
in grado di emettere una mortale radioattività per secoli e millenni.
Nella
seconda metà del Novecento molti paesi africani e asiatici si sono liberati
dalla sudditanza coloniale, potenti imperi si sono dissolti, altri imperi
economici sono sorti, la nuova divinità chiamata globalizzazione ha portato a
nuove forme di conflitti militari, ideologici, religiosi, commerciali che
vedono tutti contro tutti.
Nello
stesso tempo comincia a diffondersi (dal 1960) la consapevolezza che le
attività umane possono arrecare modificazioni irreversibili nell’ambiente
naturale dovute ai limiti fisici del pianeta Terra.
Una
misura di questa accelerazione dello sfruttamento della natura dal 1900 al 2015
è indicata dall’aumento della popolazione mondiale da 1600 a 7300 milioni di
persone e dei consumi mondiali di energia da 50 a 550 EJ.
L’accelerata
modificazione del pianeta è testimoniata, fra l’altro, dall’aumento della
temperatura media della Terra e delle relative vistose modificazioni climatiche,
dovuto all’aumento della massa dei gas immessi ogni anno nell’atmosfera in
seguito alla produzione e all’uso di combustibili fossili e alla crescente produzione
di merci agricole e industriali.
Energia
e merci, peraltro, a cui accedono, e dei cui effetti negativi ambientali sono
responsabili, in modo molto differente i singoli abitanti del pianeta, quelli
dei paesi ricchi industrializzati, quelli dei paesi in rapida
industrializzazione, quelli dei paesi poveri e dei paesi poverissimi che speso
sono costretti a privarsi dell’essenziale per alimentare i consumi dei ricchi.
Energia
a merci la cui crescente produzione e uso, per ineluttabili leggi fisiche,
chimiche e biologiche, impoveriscono le riserve di risorse naturali che ogni
generazione lascia a quella successiva e provocano un peggioramento della
qualità, dell’attitudine ad essere usate in maniera umana, dell’aria, delle
acque, del suolo, con conseguente aumento di malattie e di violenza.
Per
lasciare alle generazioni future un mondo naturale meno impoverito e meno
contaminato, non resta che passare da un’economia dell’abbondanza e del
superfluo ad una economia dell’”abbastanza”, attraverso una revisione critica dei
bisogni umani al fine di riconoscere quelli fondamentali, scoraggiando lo
spreco e l'abuso fatto dai ricchi a spese dei poveri --- e della Natura.
Anche
attraverso una revisione etica della qualità delle merci e dei manufatti --- una
"merceologia morale" ? --- per individuare quelli che rendono massimo
il benessere umano con il minimo danno alla biosfera, per suggerire mutamenti
nel modo di fabbricare alimenti, abitazioni, mezzi di trasporto, strumenti di
informazione.
Mi rendo conto che questa
prospettiva è contraria all’ideologia che soltanto più beni materiali
assicurano più ricchezza monetaria, considerata l’unico indicatore del
benessere, cioè dello stare bene, contraria al credo che la scienza, la
tecnologia e la stessa crescita della ricchezza materiale qualche soluzione
troveranno, un credo in aperto contrasto con le leggi della vita alla luce
della storia dei viventi.
Forse la constatazione che
anche la nostra specie umana ubbidisce alle stesse leggi di crescita e declino
di tutti gli esseri viventi può indurre a cercare il “benessere” in valori come
la solidarietà, il rispetto degli altri, il vivere “bene”.
Quanto durerà l’antropocene ?
Il Papa Francesco, in un “dialogo” con il giornalista Scalfari nell’estate del
2013, ha scritto che un giorno la nostra specie scomparirà. Quando e come
questo avverrà per la popolazione umana --- centinaia, migliaia di anni ? ---
non è possibile sapere: innumerevoli specie viventi sono comparse, cresciute e
scomparse; non scomparirà comunque la vita, almeno fino a quando il Sole
diffonderà un po’ delle sue radiazioni di luce ed energia.
Nessun commento:
Posta un commento