mercoledì 24 luglio 2013

SM 3576 -- Petrolio -- 2013

La Gazzetta del Mezzogiorno, martedì 23 luglio 2013

Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it

Per la maggior parte di noi l’interesse per “il petrolio” non va al di là del fastidio per l’aumento del prezzo della benzina o del gasolio al distributore, che peraltro è il punto di arrivo di un lungo cammino di materie e di lavoro, cominciato nelle viscere della Terra. Il petrolio, la lontana materia prima dei carburanti, viene portato in superficie mediante pozzi posti su piattaforme collocate in mezzo ai mari, o nei deserti aridi, o in quelli ghiacciati, o in mezzo alle paludi. Il petrolio come tale non serve a niente e deve essere trasportato, mediante navi cisterna o oleodotti, dai pozzi a speciali impianti, le raffinerie, in cui vengono separate le varie principali frazioni: le benzine, le più pregiate, il gasolio, gli oli combustibili. Il rendimento delle varie frazioni commerciali dipende dalle caratteristiche merceologiche dei petroli greggi, variabili da un posto all’altro, e dalle tecnologie di raffinazione. Le varie frazioni sono poi trasportate con navi o treni o camion o condotte, fino ai depositi e ai distributori e ai consumatori finali.


La produzione mondiale di petrolio greggio è di circa 4100 milioni di tonnellate all’anno; il suo prezzo è in lento continuo aumento e, in questa metà di luglio, ha superato i 108 dollari al barile, corrispondenti a oltre 600 euro alla tonnellata. In passato è stato previsto che il petrolio si sarebbe esaurito; è vero che i pozzi si esauriscono uno dopo l’altro, ma finora sono state scoperte nuove riserve in seguito al miglioramento delle conoscenze geologiche del sottosuolo e al perfezionamento di tecniche di perforazione e di estrazione capaci anche di ricavare petrolio da rocce sotterranee, sia pure con crescenti costi monetari e danni ambientali. Nuovi paesi si affacciano prepotentemente come produttori di petrolio, in Africa, nelle repubbliche asiatiche dell’ex Unione Sovietica, nell’America meridionale e in Estremo Oriente, una geografia economica continuamente variabile, sempre con lo spettro di una più o meno lontana scarsità.

Il petrolio può essere sostituito dal carbone e dal gas naturale in molti settori, come le centrali termoelettriche, ma resta finora insostituibile nel settore dei trasporti che assorbe circa un terzo di tutto il petrolio prodotto nel mondo, per cui gli automobilisti sono i più esposti ai capricci del mercato petrolifero internazionale. Per far uscire i propri clienti da questa schiavitù, l’industria automobilistica propone veicoli tutti elettrici, o ibridi; in questi ultimi un motore a benzina o gasolio è abbinato ad un motore elettrico. La transizione alle auto elettriche però fa uscire dalla dipendenza dai produttori di petrolio, ma fa cascare nella dipendenza dai produttori di altri materiali strategici come il litio per le batterie e le terre rare indispensabili per i magneti permanenti.

Del litio esistono giacimenti negli altopiani desertici delle Ande; delle terre rare, una ventina di elementi poco diffusi in natura, esistono limitate riserve nel mondo, per ora in gran parte nelle mani della Cina. D’altra parte la diffusione dei veicoli elettrici farebbe aumentare la richiesta di elettricità generata in centrali che bruciano carbone o gas naturale, con effetti di inquinamento atmosferico e di crescenti alterazioni climatiche. Ma, si potrebbe pensare, ci sono le fonti energetiche rinnovabili che producono essenzialmente elettricità e la cui diffusione sta rapidamente aumentando. Purtroppo il Sole e il vento consentono di ottenere elettricità con “macchine” che richiedono anche loro materiali le cui riserve sono limitate. Le grandi pale mosse dal vento richiedono dei magneti che dipendono dalle terre rare, l’elettricità tratta dal Sole o dal vento può essere inserita nelle grandi reti di distribuzione con speciali delicate apparecchiature.

Resterebbe l’elettricità ottenibile dal moto delle acque, ma anche in questo caso le grandi dighe alterano il corso dei fiumi con danni ecologici e la produzione di elettricità dai piccoli salti di acqua o dalle acque correnti dei fiumi e torrenti è in grado di soddisfare soltanto richieste locali.

La morale è che, purtroppo, la natura non da niente gratis. La scarsità e l’ineguale distribuzione planetaria delle materie prime e dei minerali e l’inquinamento sono il prezzo che noi esseri umani dobbiamo pagare per i benefici che ci vengono dai progressi tecnologici. Dalle varie trappole si può parzialmente uscire con decisioni politiche, con governanti informati, capaci di riconoscere, fra le varie soluzioni proposte dai venditori di petrolio, di pale eoliche, di pannelli fotovoltaici, di automobili, ora anche del litio, in concorrenza fra loro, quale è più utile per i loro cittadini. La salvezza potrebbe venire da una nuova politica internazionale capace di indicare, in solidarietà e con adeguate conoscenze, come assicurare agli abitanti del mondo i beni materiali capaci di soddisfare i bisogni essenziali di abitazioni, di igiene e di istruzione, di aria respirabile e di acque pulite, di energia e di mobilità.

Un grande sogno finora vanificato da egoismi nazionali e scontri di poteri economici e finanziari, incapaci di affrontare i problemi posti dai vincoli fisici della scarsità delle risorse del pianeta. Da qui le continue guerre per le materie prime. La posta in gioco non è soltanto quella di pagare qualche centesimo di più o di meno la benzina o il gasolio, ma è la possibilità di assicurare lavoro e condizioni ambientali e di vita decenti a tutti i sessanta milioni di italiani, a tutti i settemila milioni di terrestri.






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