La Gazzetta del Mezzogiorno, martedì 23 luglio
2013
Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it
Per la maggior parte di noi l’interesse per “il petrolio”
non va al di là del fastidio per l’aumento del prezzo della benzina o del
gasolio al distributore, che peraltro è il punto di arrivo di un lungo cammino
di materie e di lavoro, cominciato nelle viscere della Terra. Il petrolio, la
lontana materia prima dei carburanti, viene portato in superficie mediante
pozzi posti su piattaforme collocate in mezzo ai mari, o nei deserti aridi, o
in quelli ghiacciati, o in mezzo alle paludi. Il petrolio come tale non serve a
niente e deve essere trasportato, mediante navi cisterna o oleodotti, dai pozzi
a speciali impianti, le raffinerie, in cui vengono separate le varie principali
frazioni: le benzine, le più pregiate, il gasolio, gli oli combustibili. Il
rendimento delle varie frazioni commerciali dipende dalle caratteristiche
merceologiche dei petroli greggi, variabili da un posto all’altro, e dalle
tecnologie di raffinazione. Le varie frazioni sono poi trasportate con navi o
treni o camion o condotte, fino ai depositi e ai distributori e ai consumatori
finali.
La produzione mondiale di petrolio greggio è di circa 4100
milioni di tonnellate all’anno; il suo prezzo è in lento continuo aumento e, in
questa metà di luglio, ha superato i 108 dollari al barile, corrispondenti a
oltre 600 euro alla tonnellata. In passato è stato previsto che il petrolio si
sarebbe esaurito; è vero che i pozzi si esauriscono uno dopo l’altro, ma finora
sono state scoperte nuove riserve in seguito al miglioramento delle conoscenze
geologiche del sottosuolo e al perfezionamento di tecniche di perforazione e di
estrazione capaci anche di ricavare petrolio da rocce sotterranee, sia pure con
crescenti costi monetari e danni ambientali. Nuovi paesi si affacciano
prepotentemente come produttori di petrolio, in Africa, nelle repubbliche
asiatiche dell’ex Unione Sovietica, nell’America meridionale e in Estremo
Oriente, una geografia economica continuamente variabile, sempre con lo spettro
di una più o meno lontana scarsità.
Il petrolio può essere sostituito dal carbone e dal gas
naturale in molti settori, come le centrali termoelettriche, ma resta finora
insostituibile nel settore dei trasporti che assorbe circa un terzo di tutto il
petrolio prodotto nel mondo, per cui gli automobilisti sono i più esposti ai
capricci del mercato petrolifero internazionale. Per far uscire i propri
clienti da questa schiavitù, l’industria automobilistica propone veicoli tutti elettrici,
o ibridi; in questi ultimi un motore a benzina o gasolio è abbinato ad un
motore elettrico. La transizione alle auto elettriche però fa uscire dalla
dipendenza dai produttori di petrolio, ma fa cascare nella dipendenza dai
produttori di altri materiali strategici come il litio per le batterie e le
terre rare indispensabili per i magneti permanenti.
Del litio esistono giacimenti negli altopiani desertici
delle Ande; delle terre rare, una ventina di elementi poco diffusi in natura,
esistono limitate riserve nel mondo, per ora in gran parte nelle mani della
Cina. D’altra parte la diffusione dei veicoli elettrici farebbe aumentare la
richiesta di elettricità generata in centrali che bruciano carbone o gas
naturale, con effetti di inquinamento atmosferico e di crescenti alterazioni
climatiche. Ma, si potrebbe pensare, ci sono le fonti energetiche rinnovabili
che producono essenzialmente elettricità e la cui diffusione sta rapidamente
aumentando. Purtroppo il Sole e il vento consentono di ottenere elettricità con
“macchine” che richiedono anche loro materiali le cui riserve sono limitate. Le
grandi pale mosse dal vento richiedono dei magneti che dipendono dalle terre
rare, l’elettricità tratta dal Sole o dal vento può essere inserita nelle
grandi reti di distribuzione con speciali delicate apparecchiature.
Resterebbe l’elettricità ottenibile dal moto delle acque, ma
anche in questo caso le grandi dighe alterano il corso dei fiumi con danni
ecologici e la produzione di elettricità dai piccoli salti di acqua o dalle
acque correnti dei fiumi e torrenti è in grado di soddisfare soltanto richieste
locali.
La morale è che, purtroppo, la natura non da niente gratis.
La scarsità e l’ineguale distribuzione planetaria delle materie prime e dei
minerali e l’inquinamento sono il prezzo che noi esseri umani dobbiamo pagare
per i benefici che ci vengono dai progressi tecnologici. Dalle varie trappole
si può parzialmente uscire con decisioni politiche, con governanti informati,
capaci di riconoscere, fra le varie soluzioni proposte dai venditori di
petrolio, di pale eoliche, di pannelli fotovoltaici, di automobili, ora anche
del litio, in concorrenza fra loro, quale è più utile per i loro cittadini. La
salvezza potrebbe venire da una nuova politica internazionale capace di
indicare, in solidarietà e con adeguate conoscenze, come assicurare agli
abitanti del mondo i beni materiali capaci di soddisfare i bisogni essenziali
di abitazioni, di igiene e di istruzione, di aria respirabile e di acque
pulite, di energia e di mobilità.
Un grande sogno finora vanificato da egoismi nazionali e
scontri di poteri economici e finanziari, incapaci di affrontare i problemi
posti dai vincoli fisici della scarsità delle risorse del pianeta. Da qui le
continue guerre per le materie prime. La posta in gioco non è soltanto quella
di pagare qualche centesimo di più o di meno la benzina o il gasolio, ma è la
possibilità di assicurare lavoro e condizioni ambientali e di vita decenti a
tutti i sessanta milioni di italiani, a tutti i settemila milioni di terrestri.
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