martedì 24 novembre 2009

I'm proud I'm a chemist

La Gazzetta del Mezzogiorno, 25 gennaio 2005

Chimica è parolaccia ?

Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it 

Nei giorni scorsi questo giornale ha riportato i risultati di una inchiesta sulle materie più amate e quelle più detestate dagli studenti e la più detestata è risultata ... la chimica. Ma chimica è davvero parolaccia ? Sembrerebbe di si, perché viene associata a cose spesso sgradevoli: l'inquinamento chimico, gli additivi chimici, la diossina di Seveso, eccetera. Quasi contrapposta a qualcosa di virtuoso che sarebbe "naturale", come gli alimenti naturali, o meglio biologici, l'acqua minerale naturale, eccetera.

L'equivoco e la confusione nascono da vari fattori. Il primo ha le sue radici nella scuola dove la chimica come disciplina è relegata ad un ruolo secondario ed è spesso insegnata male, senza amore, come dimostra il ricordo angoscioso delle "formule", spesso incomprensibili, rimasto a coloro che hanno dovuto subirla per un anno..

Capita così di ascoltare persone colte e bravissime, che si vergognerebbero di non saper scrivere correttamente il nome di Freud o di Heidegger, le quali con assoluta sicurezza parlano di celle fotovoltaiche al silicone storpiando il nome del silicio (in inglese silicon); o che parlano di una imposta sul carbone quando invece tale imposta è proporzionale al contenuto di carbonio (in inglese carbon) presente nei vari combustibili fossili: petrolio, gas naturale e anche carbone, naturalmente, eccetera.

La seconda fonte di ignoranza chimica va cercata nell'Università dove esistono migliaia di bravissimi professori delle varie branche della chimica, che raramente sono capaci, o hanno voglia, di parlare della chimica alle persone comuni, che siamo poi tutti noi. Alcuni non vanno al di là di una melensa difesa di ufficio dell'industria: della chimica non si deve parlare male --- essi dicono --- perché tutti noi siamo fatti di sostanze chimiche, dai capelli, al sangue, alla carne (il che è rigorosamente vero); perché tutti gli oggetti che ci circondano --- il cibo, il cemento, il vetro, gli indumenti --- contengono atomi e molecole chimiche (il che è vero). Ciò non esclude che molte sostanze industriali siano dannose alla salute, siano fabbricate con processi che inquinano l'atmosfera, le acque e i polmoni dei lavoratori, che lasciano residui tossici per decenni.

La terza fonte di equivoco è rappresentata dalla limitata capacità del mondo imprenditoriale, nel settore della chimica, di parlare con il pubblico. Come possiamo giudicare che cosa è utile ai cittadini se nessuno --- governi e industrie --- è capace, o vuole, spiegare che cosa le fabbriche producono, dove, con quali materie, con quali processi, con quali effetti inquinanti? Merci fondamentali per la vita quotidiana --- l'acido solforico, l'ammoniaca, i concimi, il caprolattame, il fenolo, il carbonato sodico, il cloro, le fibre sintetiche, il butadiene e le gomme sintetiche --- circolano intorno a noi, nei camion e nei carri cisterna, sulle strade e le ferrovie, senza che nessuno sappia che cosa sono queste materie, come sono fatte, senza poterle neanche riconoscere, senza sapere come reagire in caso di incidente. In questo silenzio non c'è da meravigliarsi se, quando un incidente avviene, un camion-cisterna si incendia o sversa nell'aria o sul suolo il suo contenuto, le persone comuni attribuiscono alla "chimica" gli effetti perversi, le morti, le sofferenze.

La salvezza, la salute dei cittadini, la sicurezza dei lavoratori, dipendono da una diffusione delle conoscenze della "vera" chimica e delle sue leggi, delle merci chimiche che sono intorno a noi, dalla consapevolezza che soltanto processi chimici e una buona "chimica" può risolvere i problemi ambientali e assicurarci città e acque meno inquinate.

In questo cambiamento culturale un ruolo fondamentale ha la scuola e hanno i chimici --- sono laureato anch'io in chimica, e proprio a Bari, e ne sono orgoglioso e ho la presunzione di riuscire a capire meglio alcune cose proprio perché sono un chimico --- che forse possono recuperare un orgoglio professionale e la voglia di spiegare anche il contenuto storico, sociale, e non solo formale, della chimica.

Un ruolo importante potrebbe avere l'editoria. Ci sono in commercio, a parte i libri "di testo" spesso tutt'altro che entusiasmanti, pochi libri italiani di chimica "popolare". Eppure i grandi chimici del passato si sono fatti un punto di onore di spiegare i risultati dei loro studi in forma accessibile al pubblico. Vorrei ricordare, a solo titolo di esempio, le "Lettere ai familiari sulla chimica" del grande Justus von Liebig (si, proprio lui, l'inventore dell'estratto di carne), tradotte in tutte le lingue e con un titolo classicheggiante ricalcato sulle "Epistulae ad familiares" di Cicerone. Fra gli autori italiani mi viene in mente Primo Levi e la sua opera "Il sistema periodico"; fra gli stranieri tradotti in italiano, Carl Djerassi con la storia della scoperta de "La pillola" anticoncezionale, Simon Garfield che ha raccontato l'industria dei coloranti partendo dal primo, sintetizzato per riprodurre quello della pianta "Malva", e il sociologo Oliver Sacks con "Zio tungsteno".

Avremo un giorno una riforma in cui la chimica sarà riconosciuta come disciplina "umanistica" ? Forse, se ciò avvenisse, tanti problemi di inquinamento, di incidenti, di frodi alimentari, si farebbero più rari. E farebbe anche un ambiente migliore.

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